Una mossa disperata. Il Consiglio dei ministri ieri sera ha approvato un decreto d'urgenza che proroga di sei mesi «il termine di scadenza delle obbligazioni subordinate emesse da una banca che abbia chiesto di accedere a una ricapitalizzazione precauzionale». La proroga si applica «esclusivamente ai titoli in scadenza nei sei mesi successivi alla richiesta di intervento dello Stato e fino al termine dello stesso periodo di sei mesi e si rende necessaria per assicurare la parità di trattamento tra creditori subordinati per la condivisione degli oneri nel caso di intervento pubblico».
Il comunicato del governo non lo dice ma il provvedimento è mirato, in particolare, a gestire la vera emergenza: il pagamento del bond subordinato decennale da 150 milioni emesso da Veneto Banca e in scadenza il 21 giugno. Ciò conferma come la soluzione «di sistema» per le due banche venete sia ancora lontana. Così tanto da dover prendere tempo sul rimborso del bond mercoledì prossimo. Il perchè lo aveva spiegato già il Giornale lo scorso 13 giugno: in caso di mancato rimborso sarebbe scattato il default, ma se invece il bond fosse stato pagato la banca avrebbe rischiato di violare la par condicio dei creditori in vista di un possibile burden sharing che coinvolgerebbe gli altri subordinati. La sospensione serve dunque anche a mettere al riparo gli amministratori dell'istituto da problemi legali. Il decreto rileva, infatti, come nella redazione del precedente dl «Salva Banche» non era stata prevista una norma di «congelamento» delle obbligazioni e per questo in considerazione della durata «non prevista» dei negoziati con la Ue, la mancanza di una tale norma rischia di creare disparità di trattamento fra i creditori.
Eppure il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ripete da giorni che il governo è vicino a trovare la quadra. Lo ha ripetuto anche ieri «Sono fiducioso per una soluzione positiva a breve sulle banche venete, il governo e le istituzioni italiane stanno lavorando su tutti i requisiti giuridici e normative per facilitare la soluzione concreta dei problemi», ha detto alla conferenza stampa che si è tenuta al termine dell'Ecofin. In realtà, la ricerca degli 1,2 miliardi chiesti dalla Commissione Ue per il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale procede a rilento per la mancanza di un consenso generale di sistema su base volontaria. Le big, Intesa e Unicredit, coinvolte in prima linea dal Tesoro sarebbero ancora in attesa di garanzie sia dal governo sia dall'Europa che potrebbe alzare nuovamente l'asticella degli apporti di capitale.
Nel frattempo, la banca che a differenza delle due venete sembrava a un passo dalla salvezza - ovvero il Monte dei Paschi - ieri ha dovuto registrare una battuta d'arresto nella cessione delle sofferenze, passaggio cruciale per avere il via libera definitivo da Bruxelles all'intervento statale. I fondi Fortress ed Elliott si sono infatti sfilati dalle trattative, in esclusiva fino al 28 giugno, con Atlante II sulla cartolarizzazione degli npl da 26 miliardi lordi. Lo stop potrebbe comunque essere temporaneo e servirebbe ai fondi per spuntare un prezzo migliore. Il problema è che in base a quello, e al conseguente incasso per il Monte dalla vendita dei crediti deteriorati, la Bce fisserà l'asticella del fabbisogno di capitale inizialmente stimato fino a 8,8 miliardi. «Le trattative proseguono con Atlante 2», assicurano a Siena.
Qualche passo avanti viene invece fatto da Carige, in vista del
cda del 21 giugno che dovrà rispondere alle richieste della Bce: ieri l'istituto ha trasferito 938 milioni di sofferenze a un veicolo di cartolarizzazione che emetterà, nelle prossime settimane, titoli di classi diverse.
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