Quel padre-padrone d'altri tempi che litiga con i suoi manager

Vittorio Malacalza, uscito dalla Pirelli, ha investito nella banca contro il parere dei figli. E ha già fatto fuori due ad

Vittorio Malacalza
Vittorio Malacalza

«Non sono né felice né triste, ho fatto quello che andava fatto per il bene della banca e della città». Così parlò Vittorio Malacalza in un'intervista rilasciata il giorno dopo la notizia dell'acquisto per 66 milioni del 10,5% di Carige in mano all'omonima Fondazione. Con questa operazione «di responsabilità, oltre che di interesse», era diventato l'azionista di controllo della banca che nel 1961 gli concesse il primo prestito - 20 milioni di lire - quando faceva il commerciante nel settore dell'edilizia e aveva solo tre dipendenti. Una sfida ambiziosa: tornare a giocare sul campo di una società quotata dopo la battaglia con la Camfin di Marco Tronchetti Provera su Pirelli e soprattutto rilanciare la banca della città affossata dall'ex presidente Giovanni Berneschi.

Era il marzo del 2015. Da allora, Malacalza è salito al 20,6%, è diventato vicepresidente e con la Malacalza Investimenti ha scommesso più di 376 milioni registrando, al momento, una minusvalenza potenziale di quasi 300 milioni. Con la partecipazione della holding di famiglia all'ultimo aumento di capitale attraverso un'iniezione di 112,6 milioni, il prezzo medio di carico delle azioni Carige è sceso da 1,8 a 0,033 euro (ieri il titolo ha chiuso a 0,008 euro e la banca vale in Borsa meno di 470 milioni).

In poco più di tre anni di avventura bancaria mai del tutto digerita dai figli Mattia e Davide, il quasi 81enne Malacalza che ha sempre preferito ai salotti le uscite sulla sua barca a vela «Maidomo» (nel senso di «mai domato», perchè sui campi da tennis non si arrendeva mai) ha evitato gli scogli mettendo mano al portafoglio per ridare benzina al motore. Il clima a bordo, però, è sempre stato assai teso soprattutto nei rapporti tra il capitano dal carattere duro e i timonieri: prima Malacalza ha silurato Piero Montani, poi ha sfiduciato il suo successore Guido Bastianini. E ora la diaspora dei consiglieri a lui vicini: Giuseppe Tesauro, che Malacalza aveva voluto come presidente-garante del new dealdel gruppo, Stefano Lunardi e Francesca Balzani. Tutti dimessi in polemica con la gestione dell'ad, Paolo Fiorentino, giudicata troppo «personalistica».

Nell'ultima battaglia, chi sta con chi? Di certo Malacalza non ha mai nascosto le sue riserve su Fiorentino, criticato in passato per i costi dell'aumento di capitale e le modalità con cui la banca comunicò la temporanea mancata chiusura del consorzio di garanzia. L'ad però sembra avere dalla sua parte la new entry Raffaele Mincione, che ha chiesto la convocazione dell'assemblea degli azionisti a settembre per revocare il cda e nominarne uno nuovo evitando un lungo interim di Malacalza alla presidenza, come sostituto di Tesauro.

Ma il finanziere deve cercare nuovi alleati perchè da solo detiene ufficialmente poco più del 5% mentre i Malacalza possono salire fino al 28% con l'autorizzazione - già in tasca - della Bce. Che auspica anche per Carige un matrimonio. E Malacalza vuole arrivare all'altare con le mani ben salde sul timone per non portare la barca lontano dalla Lanterna.

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