MumbaiQuando, nel 2003, Roberto Colaninno rilevò la Piaggio, questa fatturava 980 milioni di euro, aveva 570 milioni di debiti e perdeva 140 milioni. I numeri di oggi rendono lesatta idea di tutto il lavoro compiuto: 1,51 miliardi di ricavi nel 2011, in progresso del 10% sul 2010, un utile netto di 47 (più 2%), debiti scesi a 336 dai 350 dellanno prima. Quando Colaninno mise piede a Pontedera, la presenza in India era prossima alla chiusura, e la produzione circoscritta a 30mila Ape (il veicolo commerciale e tre ruote) allanno. Ieri Colaninno a Baramati, in India, ha inaugurato lultima fabbrica del gruppo, un impianto modernissimo che sfornerà 150mila Vespa allanno, e per il quale nel 2013 è già previsto il raddoppio. Di Ape, da quelle 30mila, nel 2011 ne sono state vendute 220mila. LIndia, insieme allarea asiatica è diventata cruciale, e nel 2014 rappresenterà la metà dei ricavi, previsti a quota 2 miliardi. Chiediamo a Colaninno: che cosa sarebbe stato della Piaggio senza lIndia? «Senza internazionalizzazione avrebbe avuto difficoltà ad andare avanti», risponde misurando le parole. «Le decisioni di seguire il mercato indiano e di aprire in Vietnam sono state decisive».
Che cosa rappresenta lIndia per il gruppo?
«Dal 2003 vi abbiamo investito 150 milioni di euro. Il nuovo stabilimento per la Vespa è costato 30 milioni, più i 20 del 2012».
Per quando prevedete di raggiungere il pareggio?
«Normalmente in 3-5 anni. Ma le faccio un esempio. In Vietnam abbiamo investito 20 milioni per la fabbrica aperta nel giugno 2009: fino a dicembre il risultato netto, cioè il guadagno, è stato di 14 milioni e lo stabilimento si è ripagato in otto mesi».
Straordinario.
«In India abbiamo diversi programmi, oltre al lancio della Vespa, che si rivolge al mercato premium, quello più ricco e alla moda. Nei prossimi due-tre anni prevediamo di rinnovare i tre ruote, di lanciare un nuovo quattro ruote, di introdurre nuovi motori diesel e di entrare nel mercato delle moto. Inoltre lIndia ha un forte valore strategico dal punto di vista geografico: è da qui che vogliamo espanderci in Africa, perché le due aree hanno una vocazione simile per i prodotti».
Dove sarà il prossimo stabilimento?
«In Indonesia. È un grande mercato, assorbe 7 milioni di 2 ruote».
Intanto lEuropa appare sempre più vecchio mondo e continua a calare. In dieci anni il mercato si è dimezzato...
«Sia ben chiaro: noi stiamo bene in Italia, alla Piaggio si lavora serenamente e non ci trasferiremo. Il mercato europeo è in calo, ma il nostro risultato è superiore a quello dei concorrenti, siamo e restiamo leader. I mercati asiatici sono tuttavia molto più redditizi».
Avete un disegno anche per lAmerica latina?
«Non abbiamo preso decisioni, ma ci stiamo pensando».
Avete programmi molto ampi
«Nel piano 2011-2014 abbiamo previsto circa 600 milioni di investimenti, ma con una forte attenzione allindebitamento, che intendiamo mantenere costante pur in presenza di una redditività che crescerà del 50%».
Passiamo ad Alitalia, di cui lei è presidente. Cera una doppia trattativa per acquistare due compagnie nazionali, WindJet e Blue Panorama. Alla fine avete acquistato solo la prima: come mai?
«La due diligence di Blue Panorama non ha dato i riscontri che ci aspettavamo. Con WindJet, Alitalia si integra bene in un bacino importante come quello siciliano».
WindJet ha messo in mobilità oltre 500 dipendenti. È una pressa alloperazione?
«Noi acquistiamo un ramo dazienda con un perimetro preciso, anche di dipendenti».
LAntitrust vi ha intimato di rimuovere il monopolio sulla tratta Linate-Fiumicino
«Ci ha sorpresi. Da quando è cominciato il servizio dellAlta velocità ferroviaria si è detto che il treno faceva concorrenza allaereo. Ora lAntitrust dice il contrario. Ricorreremo. Vedremo».
Nel 2013 scade per i soci Alitalia il divieto di cedere le azioni.
«Non so come si comporteranno gli azionisti, hanno il diritto di fare quello che vogliono e non conosco le loro intenzioni. Noi abbiamo una strategia precisa e mi piacerebbe portare a termine il progetto a vantaggio della compagnia e del Paese».
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