Chi ha investito cento euro in Piazza Affari nel 2006 oggi se ne ritrova in tasca solo 83,6 con un rendimento annuo, incluso il reinvestimento dei dividendi, pari al -1,6 per cento. Secondo l'ultimo rapporto «Indici e dati» dell'area studi di Mediobanca la Borsa milanese ha perso oltre 200 miliardi di capitalizzazione. Se nel 2006 valeva 779 miliardi, a settembre di quest'anno era scesa a quota 555 miliardi (circa il 31% del Pil). Conquistando la maglia nera, come rendimento, fra i 20 principali mercati mondiali. Unica eccezione, il segmento Star che è secondo solo al Nasdaq, con incrementi rispettivamente del 8,96% annuo e del 12% medio annuo. Il peso sul totale degli indici mondiali è sceso dal 2 allo 0,9 per cento.
A guidare la classifica, con una capitalizzazione da 17.974 miliardi, il Nyse, balzato del 53% nel periodo; subito dietro, grazie a un aumento del 167% in 10 anni, il Nasdaq, con 7.845 miliardi, e Tokyo (4.842 miliardi, +38%). A livello mondiale Milano è la diciannovesima piazza per importanza, dopo quella spagnola e prima di quella russa. Al tempo stesso, tuttavia, è considerevole il contributo di Borsa Italiana al London Stock Exchange: nel decennio successivo all'acquisizione (2007 - 2016), ha generato i due terzi circa degli utili della capogruppo inglese (oltre che il 26% dei ricavi e il 28% del margine operativo netto), avvalendosi di appena il 17% dei dipendenti.
Se si guarda ai singoli titoli, i rendimenti più elevati sono offerti da Ima e Reply, due società dello Star: nel decennio gli azionisti Ima hanno visto il valore del proprio investimento (dividendi inclusi) moltiplicato per 12,7 volte (rendimento medio annuo del 26,6%), quelli di Reply per 12,4 volte (26,4% medio). Il raffronto con i Btp (4,9% medio annuo) è vincente soltanto per 40 dei 170 titoli della Borsa italiana rimasti quotati in tutto il periodo preso in esame.
A realizzare i maggiori aumenti di capitale è stata invece Unicredit, con un totale che, in 10 anni, tocca i 27,5 miliardi, considerato anche la maxi operazione da 13 miliardi di quest'anno. Nel 2016 sono stati realizzati aumenti di capitale per 5 miliardi, importo inferiore di un quinto circa alla media dal 2007 (6,1 miliardi). Dal 2007 sono stati raccolti 95 miliardi: il 62% dalle banche e il 33% dall'industria. Gli istituti di credito si sono infatti presentati sul mercato con insistenza dal 2008 al 2017, ricevendo 64 miliardi. UniCredit con 27,5 miliardi ha totalizzato oltre un quarto degli aumenti raccolti nel decennio; sommando le quote di Mps (14%) ed Enel (8%) si giunge alla metà degli importi complessivamente richiesti al mercato italiano.
Quanto ai settori, il più redditizio è l'investimento in titoli industriali (2,6% medio annuo), di gran lunga migliore rispetto alle società assicurative (-3,4%) e bancarie (-10,4%). Il settore industriale nel decennio si è portato dal 58% al 68% sul totale, a scapito prevalentemente delle banche, in arretramento dal 32% al 24% (nell'anno di crisi 2008 erano al 25 per cento).
Allargando l'obiettivo agli ultimi novant'anni il rapporto di Mediobanca mostra, inoltre, che l'inflazione viene battuta solo col reinvestimento delle cedole mentre al netto dei dividendi viene superata solo di rado. Esemplare il caso di Generali: investendo nel gennaio 1938 nella compagnia si sarebbe realizzato al giugno 2017 un rendimento medio annuo reale (al netto dell'inflazione) senza i dividendi del 4,5 per cento.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.