Rodolfo PariettiNelle Borse si continua a vendere. A piene mani. Non appena si allenta il collante delle banche centrali, è un collettivo sbriciolamento degli indici, con Piazza Affari più fragile di un grissino. Se la sindrome cinese e i prezzi del petrolio in saldo sono i due piombi ai piedi dei mercati internazionali, costati ieri all'Europa 191 miliardi di euro di capitalizzazione e a Wall Street una flessione dell'1,86% a un'ora dalla chiusura, per Milano le perdite sono amplificate dai contorcimenti delle nostre banche, le più esposte a causa delle elevate sofferenze e del processo di aggregazione che stenta a decollare, così come la definizione di una bad bank in cui far confluire i crediti di difficile riscossione. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha ribadito che «non ci sono evidenze di attacchi speculativi all'Italia: il calo della Borsa di oggi (ieri, ndr) è legato a fattori non strutturali ma di fiducia, alcune banche sono salite ed altre scese». Sarà. Al termine dell'ennesimo martedì nero, appena rischiarato dall'ottimo esito dell'asta del nuovo Btp a 30 anni (collocati 9 miliardi di euro, a fronte di una domanda attorno ai 26 miliardi, al tasso lordo del 2,758%), l'indice di settore del credito è sceso di un altro 3,7%, con la performance a un mese che mostra un agghiacciante -26,5%. Sono valori ben lontani da una flessione fisiologica, e ben più legati a fondamentali economici che chi vende considera evidentemente a rischio. Timori immotivati? Un fatto è certo: il peso specifico delle banche sul paniere principale sta schiacciando il Ftse Mib, crollato ieri del 3% e scivolato sotto i 18mila punti. È un ritorno al passato: era dal 13 dicembre 2013, quando l'indice si era attestato a 17.805 punti, che Piazza Affari non toccava un punto così basso. Bruciati da tempo i guadagni del 2015 (+13%), le ferite provocate dai ribassi di stanno allargando, al punto che nel solo mese di gennaio le perdite sono state superiori al 16%. Ciò si spiega anche con l'altro «binario» su cui corre il treno dei ribassi. Ovvero, quello energetico. Il Ftse Italia petrolio e gas naturale è «dimagrito» nell'ultimo mese del 23% (-4,7% solo ieri, la stessa flessione dell'Eni) per effetto dei continui ribassi che hanno trascinato le quotazioni del petrolio fino a 27,50 dollari il barile. Il tentativo di recupero dei giorni scorsi si è dissolto (ieri il greggio è tornato sotto quota 30), in quanto si reggeva su un'utopia: un accordo tra Opec e Russia per un taglio bilaterale della produzione. Tramontata l'intesa, sono riemersi i problemi di over output, legati in buona parte alla minore domanda dovuta alla frenata cinese e delle economie emergenti e in parte all'anarchia estrattiva del Cartello.Che la situazione sul fronte energetico sia delicatissima lo dimostrano i conti da infarto presentati ieri da Bp, i cui utili sono collassati del 91% nel quarto trimestre dello scorso anno, con perdite 2015 per 6,5 miliardi. Cifre destinate a costare il posto a 7mila dipendenti, con tagli spalmati tra quest'anno (4mila) e la fine del 2017 (tremila). E non solo.
Exxon ha visto dimezzati i profitti lo scorso anno (16 miliardi), mentre nei giorni scorsi Petrochina ha lanciato un profit warning, Chevron ha riportato la prima perdita trimestrale dal 2002 e Royal Dutch Shell ha annunciato, prima dei conti che usciranno il 4 febbraio, un crollo dell'utile trimestrale di almeno il 42%.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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