Le pmi hanno retto alla crisi ma temono il «credit crunch»

Le pmi hanno retto alla crisi ma temono il «credit crunch»

Le medie imprese italiane hanno saputo reagire alla crisi anche meglio delle grandi. È quanto emerge dall’indagine effettuata da Mediobanca e Unioncamere su un campione di 3.220 imprese. Eppure, c’è un dato che preoccupa: il 72% delle aziende che intende finanziarsi teme condizioni più onerose del credito.
Il quadro non è propriamente incoraggiante: il 73% del campione ha chiesto finanziamenti negli ultimi sei mesi, ma il 45% (22% nel 2011 e 27% nel 2010) di quelle che ha segnalato difficoltà sia nella limitazione nell’erogato che nei tassi più onerosi. Una trend che si riflette nei tempi di pagamento. Se le imprese intervistate ha lamentato che oltre il 53% dei crediti viene saldato oltre i 90 giorni, il 27% di esse ha a sua volta iniziato a ritardare i pagamenti. E questo non è un buon sintomo giacché nel periodo 2008-2010, rileva Mediobanca, le aziende investment grade sono passate dal 53,7% al 59,8% con contestuale riduzione della probabilità di default che si attesta sopra il 55 per cento. Il credit crunch rischia di frenare questo recupero di credibilità delle pmi.
E, soprattutto, potrebbe compromettere ulteriormente quello slancio necessario per continuare a competere. Il 38% degli intervistati prevede per il 2012 un aumento di fatturato (contro il 50,2% a consuntivo nel 2011). Il 32,6% delle imprese stima inoltre un incremento della produzione (39,7% nel 2011). La vera spinta, però, è l’internazionalizzazione: gli ordinativi esteri saranno in crescita per il 39,8% delle imprese, mentre l’andamento del mercato interno sarà più debole (solo il 15,9% si attende un rialzo rispetto al 2011, contro il 32% di quelle che ne prevedono una flessione).
Gli indicatori analizzati da Mediobanca tuttavia evidenziano come le pmi abbiano saputo fare meglio nell’ultimo decennio rispetto ai grandi gruppi. Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2010 il rapporto tra margine operativo netto e valore aggiunto si è mantenuto costantemente al di sopra (18,6% contro 1,7% nel 2010). E anche gli utili in percentuale del valore aggiunto non sono quasi mai stati inferiori. Che cosa significa tutto questo? Che le pmi hanno saputo estrarre valore da dipendenti e processi produttivi. Il costo del lavoro è rimasto, nel decennio considerato, sempre attorno al 70% del valore aggiunto (a fronte del 90% delle grandi) consentendo alle pmi di ottenere un valore aggiunto netto pro-capite di oltre 50mila euro. Risultati ottenuti aumentando i dipendenti: l’occupazione è cresciuta dell’11,2% nel decennio a fronte di un -18,2% dei grandi gruppi. E soffrendo un tax rate superiore a quello dei big (38% contro 31% nel 2009).
Il peggioramento dello scenario macroeconomico, però, influirà sui livelli occupazionali: la stima 2012 è di 163 occupati medi con un calo dell’1,2% su base annua. Il 40% degli intervistati, tuttavia, prevede un livello stabile di dipendenti, il 13% si attende una diminuzione e il 25% un incremento della forza lavoro.
Il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, ha individuato nella governance il punto debole delle pmi. «La dimensione media - ha commentato - è quella in cui riusciamo ad eccellere. Dove entra in gioco l’organizzazione e la capacità di fare squadra, le medie imprese mostrano la corda.

Siamo più capaci di chiacchierare che di portare a casa risultati». Il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello si è rivolto al suo omologo di Piazzetta Cuccia: «C’è bisogno che Mediobanca aiuti gli imprenditori che hanno difficoltà nell’accesso al credito».

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