Un po' ci hanno pensato i tempi lunghi della giustizia, un po' l'indulgenza della sua vecchia banca: sta di fatto che ora per Massimo Ponzellini è a portata di mano la possibilità di uscire incolume dai suoi guai giudiziari, dopo l'arresto nel 2012 per una sfilza di reati.
L'ex presidente dell'allora Banca Popolare di Milano, oggi confluita nel Banco Bpm, è citato a comparire questa mattina davanti alla seconda sezione della Corte d'appello. In primo grado se l'era cavata con un anno e mezzo di carcere, ed era già stato un brusco ridimensionamento delle accuse che gli aveva mosso la Procura. Oggi sulle accuse residue potrebbe calare il sipario: prescrizione. E Ponzellini potrebbe riprendere con la fedina immacolata la carriera bruscamente troncata dalle dimissioni da Bpm del novembre 2011 e poi dalle manette.
I complessi calcoli sui tempi di prescrizione hanno impegnato in queste settimane sia li avvocati difensori che la Procura generale, ed il risultato è netto. L'unica imputazione per cui il banchiere era stato condannato in primo grado, nel dicembre 2017, era un episodio di corruzione tra privati, articolo 2635 del codice civile: la sottoscrizione da parte di Bpm nel 2010 di quindici milioni di euro di quote del fondo Goethe Immobiliare, del finanziere Camillo Colella. In cambio, Ponzellini aveva ricevuto da Colella 2,1 milioni di euro, oltre al mantenimento della sua barca «Santa Maria a Mare». L'operazione nella sentenza di primo grado era stata definita «in assoluta controtendenza rispetto ad una prudente gestione del patrimonio Bpm», e i soldi di Colella a Ponzellini l'evidente frutto della corruzione. Ma l'episodio, che risale al 2011, è ormai coperto dalla prescrizione, e la stessa Procura generale ne darà probabilmente atto nella sua requisitoria di stamattina.
L'unica imputazione che potrebbe tenere a galla il processo è quella di associazione a delinquere, alla cui prescrizione manca ancora una manciata di mesi. Ma per questa accusa in primo grado Ponzellini è stato assolto, ed appare ben difficile che il verdetto possa essere ribaltato. L'accusa si basava infatti sui rapporti tra Ponzellini e Francesco Corallo, il discusso «re delle slot machine», miracolato da Bpm con un finanziamento monstre di 145 milioni di euro. Corallo si sdebitò con 6,5 milioni di euro a favore della cricca che governava Bpm: a Ponzellini personalmente erano destinati 3,5 milioni di sterline. Ma all'epoca in cui fu commesso il reato era perseguibile solo a querela di parte, e l'istituto ha ritirato la querela in seguito ad un accordo stragiudiziale con Corallo, che ha versato un robusto risarcimento. E di questo accordo ha beneficiato anche Ponzellini, nei cui confronti (per questo singolo, cruciale capo d'accusa) Bpm ha pure ritirato la denuncia.
Così l'associazione a delinquere è rimasta senza reati e senza partecipi: visto anche che la posizione di Corallo, stralciata dopo l'arresto ai Caraibi dell'imprenditore per l'indagine della procura romana sulla legge pro-azzardo, è stata chiusa a Milano con una archiviazione.
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