Powell a un passo dal "trono" della Fed

Repubblicano, il banchiere "colomba" dovrà piegare i tassi alle promesse di Trump

Powell a un passo dal "trono" della Fed

Tanto spigoloso nella sua faccia severa quanto morbido e centrista per carattere, Jerome Powell sarà l'alter ego di Donald Trump alla Federal Reserve. È l'uomo giusto al posto giusto per riplasmare la banca centrale Usa senza dare apparenti segni di discontinuità rispetto all'era di Janet Yellen. Oggi pomeriggio il tycoon, prima di imbarcarsi per l'Asia, metterà fine a quella sorta di show mediatico con cui ha fatto coriandoli dell'understatement che per tradizione consolidata accompagnava i mesi precedenti la nomina del banchiere più potente al mondo. L'inquilino della Casa Bianca ha ribadito ieri che la Yellen è «eccellente» come presidente, ma a molti è sembrato una sorta di bacio della morte. I giochi sembrano già fatti, al punto che appare una pura formalità l'investitura ufficiale di questo avvocato 64enne, già introdotto nelle segrete stanze della Fed, di cui è governatore dal 2012 dopo essere transitato al Tesoro sotto la presidenza di Bush senior; e che, soprattutto, porta addosso i galloni da ex banchiere del colosso dei fondi d'investimento Carlyle. Un plus per Wall Street, che ha sempre avuto in uggia gli accademici come Greenspan, Bernanke e la stessa Yellen. Magari dimenticando che a loro deve esuberanze irrazionali, salvataggi miliardari con i soldi dei contribuenti e stabilità nella conduzione della politica monetaria.

Se la Yellen ha finito per pagare con la probabile mancata riconferma l'avversione dichiarata allo smontaggio dei recinti normativi eretti dopo la finanza tossica dei mutui subprime, Jerome «il soffice» sarà l'uomo che si piegherà come un giunco al vento della deregulation. Sarà questo il segno più evidente di cesura con il più recente passato. Trump vuole un taglio netto perché convinto di poter centrare l'obiettivo di una crescita del 3% non solo con l'abbattimento delle aliquote fiscali e con il miliardario piano di rilancio infrastrutturale, ma liberando i mercati da lacci e lacciuoli. Quel taglio, lo otterrà. Accompagnato da mosse prudenti sui tassi. Una volta archiviato il rialzo scontato di dicembre (ieri la riunione del Fomc, il braccio «armato» della Fed, ha lasciato tutto invariato), toccherà a Powell orchestrare, da febbraio in poi, le danze del costo del denaro. Se le condizioni economiche lo consentiranno (crescita e inflazione), è verosimile ipotizzare altri tre rialzi da un quarto di punto nel 2018 che proietterebbero il costo del denaro all'1,75-2%. Se accompagnata da una riduzione dell'ipertrofico bilancio dell'istituto, la triplice mossa darebbe un forte segnale di normalizzazione della politica monetaria e metterebbe fine al lungo periodo dell'emergenza.

Questa politica dei piccoli passi non sarebbe stata invece la cifra stilistica di John Taylor, economista della Stanford University e fino a qualche giorno fa tra i papabili per il dopo-Yellen. Falco tra i falchi, Taylor è l'autore della regola che calibra i tassi in base all'inflazione: seguendo i suoi orientamenti, il costo del denaro dovrebbe essere - già ora - attorno al 5%. Roba da elefante in una stanza di cristalli. Un lusso che l'America non può permettersi pena uno choc economico e finanziario.

Rispetto alla Yellen, il repubblicano Powell dovrà dar prova di saper meglio gestire le due «anime» che vivacizzano (fin troppo) il board della Fed, calibrandone con maggiore misura la comunicazione, finora spesso disordinata e contraddittoria. Nè dovrà dimostrarsi insicuro nell'analisi di alcuni pilastri da cui dipendono le decisioni della banca centrale. La recente ammissione della Yellen di aver mal valutato lo stato di salute del mercato del lavoro e di non avere strumenti per capire perché l'inflazione sia anemica, non può venire dalla bocca di un banchiere centrale.

Anche perché, in realtà, c'è poco da capire: anni di deflazione salariale, con l'esercito degli occupati gonfiato da part-time, camerieri, commessi e baristi sottopagati, e la sistematica eliminazione degli impieghi da capo famiglia hanno prodotto disastri sociali ed economici, che le statistiche ufficiali hanno spesso mascherato, e impedito la risalita dei prezzi al consumo. Così, la sfida più alta che attende Powell è uscire da questo finto conundrum. E dare all'America una faccia nuova che assomigli però tanto a quella - più felice - di un tempo.

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