Di deregulation non vuol sentir parlare. Così come Draghi quando si tira in ballo il tapering, Jerome Powell preferisce parlare di ricalibrazione della Dodd-Frank, la norma che ha messo tutta una serie di paletti a Wall Street e dintorni dopo la disastrosa stagione dei mutui subprime. Davanti al Senato, passaggio obbligato per ricevere l'investitura a presidente della Federal Reserve, Powell ha mostrato ieri quello che in fondo è: un aggiustatore graduale, degno successore in salsa repubblicana di Janet Yellen a partire dal prossimo febbraio. Un alter ego morbido di Donald Trump, dal quale non pare temere ingerenze («Dai colloqui avuti non ho avvertito un simile rischio»).
Ma per quanto prudente, il nuovo corso imprimerà una svolta alla Fed. I tempi, del resto, sono cambiati rispetto alla conduzione ancora un po' emergenziale della Yellen. Powell lo ha detto chiaramente, non solo quando ha spiegato di ritenere opportuno un rialzo dei tassi in dicembre (parole che hanno subito ricacciato l'euro sotto 1,19 dollari) perché l'economia «è forte» ed è quindi tempo di normalizzare la politica monetaria, ma anche quando ha avvertito che il costo del denaro salirà «un po' di più» di quanto avvenuto finora visto che livelli così bassi «non sono più appropriati». Poi, andrà affrontato il nodo del bilancio della banca centrale Usa, con un taglio deciso dai 4.500 miliardi attuali a 2.500-3.000 miliardi. Ci vorranno non meno di tre anni. Ben più lunghi si annunciano invece i tempi per mettere il debito pubblico «su una strada sostenibile, tanto più che «aggiungere altri 1.500 miliardi peggiorerebbe la situazione». Forse una critica alla riforma fiscale voluta da Trump che, secondo alcune stime, aggiungerà al debito almeno 1.100 miliardi in un decennio? «Non spetta alla Fed dare un voto alle politiche di bilancio», la risposta di Powell. Che forse spera in un impatto meno deciso sui conti federali dato dalla maggiore crescita che il new deal fiscale potrebbe garantire. Il Pil a stelle e strisce, in base alle proiezioni fornite dallo stesso Powell, crescerà del 2,5% nel 2017 e tra il 2% e il 2,5% nel 2018. Si tratta di performance «migliori di quelle viste negli ultimi anni», ha spiegato.
Il clou dell'intervento al Senato del presidente nominato della Fed è stato però dedicato alla riscrittura delle regole finanziarie. «Si tratta di aggiustamenti, non è una deregulation», ha subito precisato. La road map appare già molto dettagliata: l'allentamento dei vincoli dipenderà dalla dimensione delle banche. Posto che di istituti too big to fail «non ce ne sono più», le big del credito dovranno ancora essere soggette alla «più stringente e la più intensa» regolamentazione.
Ciò significa mantenere gli stress test, i livelli di capitale e di liquidità e i piani di risoluzione. I gruppi con asset inferiori ai 10 miliardi saranno invece esentati dalla Volcker Rule, la norma che impedisce il trading speculativo con il portafoglio di proprietà della banca.
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