Quel passato di mancati decolliDa Klm nel 1999 fino ad Air France: il destino di una compagnia sempre sola

Se fosse andata a buon fine l'integrazione tra Alitalia e Klm, avviata nel 1999 e abortita nel 2000, oggi forse avremmo una grande compagnia italo-olandese e Malpensa, che nacque al servizio di quell'alleanza, sarebbe un vero hub. La politica italiana anche allora pasticciò con i decreti per salvare Linate (oggi, curioso, le parti si sono invertite) e Klm sbattè la porta per «mancanza di chiarezza». C'erano anche contrasti sugli assetti di potere, ma resta il fatto che Alitalia rimase sola. In precedenza era stata ipotizzata anche un'integrazione con Air France, che allora era in crisi profonda. Poi lo scenario cambiò radicalmente: Air France, risanata, qualche anno dopo si unì agli olandesi, mentre Alitalia, rimasta sola, cominciò il suo lungo declino. Era ancora una compagnia pubblica, romanocentrica, appesantita dalla politica. Nel 2001 l'attentato alle torri gemelle mise in ginocchio il trasporto aereo e Alitalia affrontò la crisi tagliando rotte e flotta, con un doloroso ridimensionamento dal quale mai si riprese; per fortuna era appena entrata in SkyTeam, la neonata alleanza globale che favorì l'efficienza delle compagnie aderenti mettendo in rete la loro offerta.
È del 2002 lo scambio azionario del 2% tra Alitalia e Air France, che seguiva una serie di accordi commerciali di ferro, specie per i voli europei, gestiti in «cassa comune». Sembrava il primo passo verso un matrimonio, invece l'anno dopo arrivò la doccia gelata: Air France nel 2004 acquisì Klm. Gli italiani restarono spiazzati. Cercarono di agganciarsi a quel treno che passava, ma senza successo; da allora il leit-motiv dei francesi fu sempre lo stesso, e cioè: «Alitalia c'interessa, ma solo quando sarà risanata». Invece i conti andavano sempre peggio e quella condizione restò illusoria. Amministratori delegati, presidenti, manager furono risucchiati in una spirale che non risparmiò nessuno: in quegli anni cominciò a serpeggiare l'idea, stravagante fino a un certo punto, che Alitalia non portasse fortuna a chi la guidava. Nel 2006 furono avviati «colloqui esplorativi» da parte dell'Air France di Jean-Cyril Spinetta per valutare un'integrazione. Nel 2007 Alitalia decise di lasciare Malpensa, riconcentrando l'attività di hub su Fiumicino, un ritorno alle origini che all'aeroporto lombardo costò, d'un botto, 8 milioni di passeggeri. Ma era un destino segnato: Alitalia in realtà in Malpensa non aveva mai creduto. Forse in questa scelta c'era già l'ispirazione di Air France, sempre più intenzionata a valorizzare il Charles de Gaulle.
Nel 2008, dopo una gara del Tesoro, Air France mise sul piatto 1,7 miliardi per la maggioranza di Alitalia, debiti e obbligazioni. Poi, di fronte alla richiesta di 2.100 esuberi, il sindacato replicò con le sue controproposte e Air France si ritirò.


Il resto è storia recente: la procedura fallimentare (ma i voli non furono mai interrotti) e l'acquisto, da parte di una cordata di imprenditori, di flotta, organizzazione, diritti, senza debiti e solo con il personale necessario. Più Air One. Occorreva un partner del mestiere, e arrivò Air France come primo azionista. Ma nonostante l'avvio dorato, nemmeno questa volta Alitalia riuscì a liberarsi delle sue maledizioni.

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