Rcs, Della Valle apre agli scontenti del patto

Rcs, Della Valle apre agli scontenti del patto

«Lascio qualche amico, rimasto pur senza tanta condivisione. Troverò il modo di rivederli altrove. O magari, più avanti, in Rizzoli». L’intervista concessa ieri da Diego Della Valle al Corriere termina con queste parole sibilline sul destino di Rcs, l’editrice del quotidiano di via Solferino, di cui ha da poco abbandonato il patto di sindacato in aperta polemica con Fiat e Mediobanca per avere «le mani più libere sul futuro dell’investimento».
La battaglia non è ancora terminata. Anche se quel 5,24% della famiglia Toti ormai di fatto in mano a Giuseppe Rotelli, divenuto primo socio con il 16,55%, rende ancor meno contendibile la società. Certo, anche Della Valle, secondo i rumor, avrebbe provato ad acquisire quel pacchetto, ma il premio dell’84% pagato dal numero uno del gruppo ospedaliero San Donato (anche per tutelare la propria presenza nel cda) è risultato decisivo. Verè è che Della Valle, sulle pagine del quotidiano «oggetto della contesa», tende la mano all’altro socio fuori patto, ribadendo gli «ottimi rapporti» e la comune convinzione che chi «investe risorse proprie» deve «avere voce in capitolo sulla gestione».
Quel 27% fuori dal patto (oltre a Rotelli e al 5,4% di della Valle c’è il 5,1% dei Benetton) può, infatti, funzionare da polo di attrazione. Ma solo a partire da settembre 2013, sei mesi prima della scadenza del patto, si potranno dare le disdette. Gli altri soci sindacati hanno il diritto di acquistare le partecipazioni degli eventuali «fuoriusciti», ma fino ad allora molti equilibri saranno mutati. Ad esempio, si sarà deciso il destino di Fonsai (5,3%) e della galassia Ligresti per la quale Mediobanca ha predisposto la «fusione a quattro» con Unipol. Ed Edison sarà tutta dei francesi di Edf che potrebbero non interpretare quell’1% come strategico. Senza contare che quel «senza tanta condivisione» accennato da Della Valle, potrebbe essere riferito a soci storici del Corriere come Lucchini (2%) e Bertazzoni (1,2%) che non avranno più rappresentanza diretta nel board.
Le analogie, però, terminano qui. Giuseppe Rotelli, da sempre su posizioni non distanti da quelle del presidente del cds di Intesa, Giovanni Bazoli, voleva incrementare la propria partecipazione da molti mesi. E fino all’ultimo sperava in un aumento di capitale (visto che la controllata spagnola Unidad Editorial che ha comportato un impairment di 321 milioni) per acquistare azioni a prezzi non esorbitanti. Al di là della passione dell’avvocato pavese per l’editoria, essere soci del Corriere è come far parte di un club esclusivo, come stare sotto un ombrello che mette al riparo dalle pressioni mediatiche. E quindi, dopo l’assegno di 405 milioni staccato per salvare il San Raffaele che fu di don Verzé, l’imprenditore ne ha staccato un altro di 53,7 milioni a Pierluigi Toti.
Mantenendo sicuramente il posto in un consiglio che si annuncia diverso dai precedenti. La prevalenza degli indipendenti è una scelta avallata da Mediobanca (13,7%) e da Fiat (10,3%). Gli strali dellavalliani contro i presidenti delle due società, Renato Pagliaro e John Elkann, testimoniano la profonda contrarietà per una governance inconsueta per il sistema-Italia.

Una scelta dettata dall’esigenza di rendere Rcs più internazionale e sottrarla, attraverso l’esperienza di manager come Fulvio Conti, Luca Garavoglia e Andrea Bonomi, a quelle diatribe che hanno ritardato o bloccato scelte decisive, come la cessione di Flammarion (ancora in fieri) o quella dell’immobile storico di via San Marco.
L’intento di Fiat e Mediobanca (monitorate dall’occhio vigile del professor Bazoli) è quello di permettere al prossimo ad di scegliere. E produrre utili.

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