Per la trattativa tra gli azionisti di Alitalia e le banche creditrici «occorre ancora tempo», ha detto ieri sera l'ad Gabriele Del Torchio. Si discute sulla ristrutturazione del debito; gli istituti dovrebbero cancellerare un terzo dei 560 milioni di esposizione, e trasformare i due terzi in capitale. Si tratta - il caso! - esattamente della stessa cifra che Etihad sborserà per il 49% della nuova Alitalia.
Sgomberiamo il campo da un equivoco: gli arabi non hanno mai chiesto questa operazione, hanno semplicemente disegnato il perimetro di ciò che vogliono acquistare; tutto il resto rimane di competenza di Colaninno & C. E infatti titolare della trattativa è l'Alitalia attuale, perché al momento della scissione la old company dovrà nascere senza debiti (altrimenti, ormai priva di attività, in attesa che la controllata vada in utile continuerebbe a sborsare fior di interessi). Quindi l'operazione sul debito è tutta italiana.
È legittimo chiedersi: perchè quattro banche - Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e Popolare Sondrio - devono annullare il debito a favore degli azionisti della compagnia (accettando in parte azioni di valore imprecisabile)? Questi ultimi, sebbene abbiano tenuto l'Alitalia sottocapitalizzata, non sono indigenti; tra di loro ci sono almeno cinque società quotate: Immsi, Atlantia, Air France, Pirelli e Unipol (Fondiaria Sai). Più le due banche maggiormente esposte, Intesa e Unicredit, che si trovano nella doppia condizione, delicata, di azioniste e finanziatrici. Nell'operazione Mps e Popolare di Sondrio, oggi non azioniste, lo diventeranno.
La risposta al quesito è estranea all'economia e sfuma nella politica. Favorire un'azienda decotta - anzi, i singoli soci di questa - non rientra negli scopi di una banca; a meno che il concetto di «sistema» non vada a sovvertire l'elementare principio che chi fa i debiti li paga (soprattutto se i soldi li ha). Le regole dicono che la responsabilità (i sacrifici) è prima degli azionisti, poi dei creditori. Così il regalo - perché di questo si tratta - che i quattro istituti fanno ai soci di Alitalia ha un ulteriore aspetto incongruo: gli azionisti mostrano di non accettare il rischio d'impresa, che è il motore dell'economia liberale. Arrivano al pettine, insomma, le debolezze e le anomalie che avevano accompagnato la nascita di Cai nel 2008. E, come paradosso, quattro banche quotate fanno un regalo ad altre cinque società quotate.
Simmetricamente, l'imbarazzo dovrebbe regnare tra gli istituti che, infatti - chi più chi meno - si sono mostrati molto riluttanti. Come giustificheranno ai loro azionisti il maxi-abbuono? L'altro ieri Fabrizio Viola (Mps) ha detto: «Non va dimenticato che gli amministratori di una banca devono rispettare i principi di sana e prudente gestione». La mancanza di prudenza (i finanziamenti sono continuati mentre la società andava sempre peggio) potrebbe forse innescare delle fastidiose azioni di responsabilità.
Prendiamo il caso della Popolare di Sondrio, oggi sotto aumento di capitale. È esposta con Alitalia per 93 milioni di euro (perché? ci si chiederà. Forse, che Sondrio sia la città del ministro delle Finanze del 2008, Giulio Tremonti, è solo una coincidenza); come potrà spiegare a ciascuno dei suoi 181mila azionisti - l'agricoltore di Morbegno, il pensionato di Traona - che il loro contributo aritmetico al salvataggio di Colaninno & C.
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