Riad usa ancora la scure: prezzi del greggio in rally

A New York il Wti sfiora i 50 dollari (+2,6%) Via al bilaterale Usa-Cina per la pace sui dazi

Riad usa ancora la scure: prezzi del greggio in rally

L'Arabia Saudita gira le spalle a Donald Trump per la seconda volta in un mese. Riad ha infatti annunciato ieri di voler tagliare la produzione petrolifera di 800mila barili al giorno per portarla a 7,1 milioni di barili. È una decisione a sorpresa che ha fatto subito schizzare le quotazioni, con il Wti arrivato a sfiorare i 50 dollari il barile (+2,65%), mentre il Brent si è riportato a quota 58,2 (+2%). Lo strappo consolida una ripresa che si stava già manifestando in questi primi giorni del nuovo anno con l'entrata in vigore dell'accordo, siglato all'inizio dello scorso dicembre, tra l'Opec e i Paesi produttori esterni al Cartello per un contenimento dell'output di 1,2 milioni di barili al giorno.

Obiettivo dichiarato, quello di ridare fiato a quotazioni penalizzate dai timori legati a un surplus di offerta. Un'austerity mal digerita dalla Casa Bianca, che fino all'ultimo aveva cercato di dissuadere i sauditi dall'intenzione di usare la scure. La moral suasion era però andata a vuoto, nonostante la delicata situazione venutasi a creare in seguito all'omicidio di Jamal Kashoggi, le cui responsabilità personali - secondo il Senato Usa - vanno ricondotte al principe ereditario saudita, Mohamed Bin Salman.

È evidente che il nuovo strappo deciso dall'Arabia rischia di compromettere oltremodo le relazioni con gli Stati Uniti. Ma Riad sembra voler andare all-in, nell'intento di riportare le quotazioni attorno agli 80 dollari, anche se i funzionari dell'Opec sostengono che sia difficile raggiungere tale livello. Goldman Sachs pare d'accordo: le sue stime per il 2019 non vanno oltre i 55,5 dollari per il prezzo medio del Wti e i 62,5 dollari per il Brent. Trump, tra l'altro, potrebbe agevolare il recupero dei corsi petroliferi se riuscirà a formalizzare un accordo con la Cina teso a interrompere la guerra dei dazi. I negoziati sono ripresi ieri a Pechino (oggi la conclusione) sotto buoni auspici. Il Dragone ha infatti inviato a trattare il vice premier Lue He, braccio destro e consigliere economico del presidente Xi Jinping. La presenza di uno dei funzionari cinesi di più alto livello all'incontro con il vice rappresentante commerciale statunitense, Jeff Gerrish, ha sorpreso gli analisti, perché teoricamente questi negoziati dovevano essere tra negoziatori di medio livello. Ciò sembra indicare il desiderio della nazione asiatica di trovare un accordo. Washington riconduce il desiderio dell'ex Impero Celeste di raggiungere un'intesa ai danni che le tariffe punitive stanno infliggendo alla Cina. Anche in termini di minori capacità di creare occupazione ed evitare tensioni sociali, come sottolineato da Wilbur Ross, segretario americano del Commercio. Ora si guarda già al World Economic Forum previsto a Davos (Svizzera) dal 22 al 25 gennaio. Là, a margine degli incontri, Trump potrebbe incontrare il vicepresidente cinese Wang Qishan come suggerito da una fonte al South China Morning Post.

Sarebbe un ulteriore passo avanti nell'ambito della tregua commerciale di 90 giorni siglata dal presidente Usa e da quello cinese l'1 dicembre a Buenos Aires. C'è tempo fino al primo marzo per trovare un'intesa che eviti una guerra commerciale a colpi di altri dazi.

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