Ilva parte seconda. L'incontro in calendario domani a Roma tra il ministro dello Sviluppo economico, Lugi Di Maio, sindacati e potenziali acquirenti - la cordata AmInvestco, guidata dalla franco indiana Arcelor Mittal - potrebbe essere l'inizio di un nuovo tavolo su Taranto. A meno di sorprese, Di Maio dovrà infatti chiarire la propria visione politico-industriale per l'Ilva. E il messaggio potrebbe essere un potenziale ribaltone. Fino a oggi, infatti, il ministro ha preso le misure, letto le carte, incontrato le parti ristabilendo un dialogo, in particolare con sindacati e Regione Puglia che erano andati allo scontro con l'ex ministro Carlo Calenda. La pace su Taranto, però, potrebbe avere le ore contate.
Sul destino dell'Ilva, a questo punto, tutti vogliono vederci chiaro. E sono potenzialmente due gli scenari che si prospettano. La prima ipotesi sarebbe appunto il «ribaltone»: chiudere le fonti inquinanti e procedere con una riconversione dell'azienda siderurgica. È questa la linea preferita dai Cinque Stelle, sulla quale si è alzando il pressing all'interno dei grillini. Il passo successivo sarebbe, quindi, dare il via alla formazione e all'impiego del personale attualmente in forza allo stabilimento Ilva di Taranto per le opere di bonifica. A ribadirlo sono state, nelle ultime ore, l'onorevole Rosalba De Giorgi del Movimento 5 Stelle e il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, secondo il quale: «A Taranto un altro tipo di industria è possibile».
Che questo poi voglia dire una completa riconversione dell'Ilva resta da vedere. Nelle ultime settimane Di Maio ha rivendicato autonomia anche rispetto all'opinione del garante dei M5S Beppe Grillo che aveva parlato dell'ipotesi di riconvertire lo stabilimento di Taranto, usando fondi europei. «Tutto ha detto Di Maio sarà gestito con responsabilità. Tutto quello che viene detto da Grillo o da altri, sono opinioni personali. Io non prendo decisioni finché non incontro le parti. Poi decideremo e se serve valuteremo anche la continuità».
Se così fosse, è dunque più probabile che allo studio ci sia un secondo scenario: immediate decisioni che andranno a riguardare la parte ambientale e una riconversione in senso «green» dell'azienda, che comunque continuerà a essere un polo siderurgico. Solo così Di Maio (che ha sempre ribadito che «i tarantini devono tornare a respirare») potrebbe evitare pericolose fratture in seno al partito e tenere in gioco l'acquirente franco indiano Arcelor Mittal, di cui è vice presidente Matthieu Jehl, che con la cordata AmInvestco, si è aggiudicata la gara per rilevare l'Ilva: sul piatto l'acquirente ha messo 1,8 miliardi per rilevare l'azienda (dagli stabilimenti di Genova a quelli di Taranto) e 2,3 miliardi di investimenti industriali e ambientali.
Si allontana, invece, l'ipotesi di un totale mantenimento dello status quo con il governo che si impegnerebbe a lavorare al miglioramento solo delle garanzie sul fronte occupazionale: al momento sono tutelati da Arcelor Mittal 10mila lavoratori su 14.200 complessivi.
Oltre a fare luce sul destino di Taranto, il governo dovrà anche spiegare come intende coprire i 70-80 milioni circa derivanti dall'estensione del periodo di commissariamento fino al 15 Settembre: Enrico Laghi, Piero Gnudi e Corrado Carrubba sono i tre commissari.
Di Maio ha assicurato che non verranno usati soldi pubblici, ma non ha spiegato da dove arriveranno visto che Ilva brucia 30 milioni circa al mese ed ha esaurito la cassa. In gioco c'è una buna fetta di elettorato, nonché il destino di 14.200 dipendenti del gruppo, 7.600 lavoratori dell'indotto e 340 imprese collegate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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