Le sabbie mobili del debito

L'Italia è una repubblica fondata sull'indebitamento pubblico. La politica distributiva della spesa in ossequio a un malinteso concetto di democrazia ha reso il nostro Paese uno Stato perennemente in dissesto. I controllori di Bruxelles ce lo rammentano un giorno sì e l'altro pure minacciando sanzioni (che arriveranno a breve).

L'italica incapacità a intervenire drasticamente in materia di sostenibilità della finanzia pubblica certifica il trionfo di un metodo ostile al cambiamento, alle riforme strutturali. Sono quattro anni che il debito pubblico italiano è stabilmente sopra il 130% del Pil. Cosa si è fatto per abbassarlo almeno di un poco? Nulla. E infatti adesso siamo al 133%. Da una parte tagli insignificanti alla spesa pubblica e dall'altra divieti continui a una saggia accelerazione sul tema delle privatizzazioni hanno condotto il Paese a questo punto. Non ce lo deve dire la Commissione Europea che così non si può procedere oltre. Qui non si tratta di intervenire con correzioni. Il problema è sostanziale. Investe la concezione che abbiamo della cosa pubblica. Risollevarne le sorti vuol dire attuare un piano strategico di dismissioni. Vere. Non misure tampone. I più attenti ricorderanno che il governo Renzi aveva promesso per quest'anno dismissioni nell'ordine dello 0,7%. L'esecutivo Gentiloni, a quanto si legge, non ha alcuna intenzione di tradurre in pratica la promessa del Principe delle promesse. Semaforo rosso, dunque. Intanto la nostra economia reale boccheggia sempre di più. Purtroppo concordo con l'economista tedesco Daniel Gros: l'Italia non ha alcuna intenzione seria di ridurre il proprio debito. Mi domando: rimane ancora qualcosa di importante da privatizzare? Non ne sono convinto.

Quindi si continuerà, aumentando le imposte, ad attingere da chi dichiara in modo corretto i propri redditi. Ci torneremo con semplici e pratici suggerimenti. Che saranno regolarmente inascoltati.

www.pompeolocatelli.it

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