A un passo dall'accordo, salta il tavolo Ilva e tutta la trattativa slitta nelle mani del nuovo governo. Dopo quasi dieci mesi di incontri serrati, scanditi da svariati stop and go, ieri si è consumato l'atto finale tra le parti. Un copione tutto politico che ha visto protagonista la Fiom, principale attore della rottura e sindacato, non a caso, vicino al Movimento 5 Stelle. «Il governo ritiene di aver messo in campo ogni possibile azione e strumento per salvaguardare l'occupazione, gli investimenti ambientali e produttivi anche attraverso un enorme ammontare di risorse pubbliche, ma a questo punto passiamo la mano», ha detto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda dopo l'incontro naufragato al Mise.
Eppure la giornata sembrava essere iniziata sotto i migliori auspici. L'esecutivo uscente aveva avanzato una controproposta per tutelare un numero maggiore di lavoratori, oltre dunque la soglia dei 10mila (sui 14mila totali) fissata dall'acquirente, la cordata Am Investco capeggiata dai franco indiani di Arcelor Mittal (85%): Am Investco si sarebbe impegnata fino a giugno 2021 a trasferire lavoro a una nuova società di servizi (denominata «Società per Taranto»), costituita da Ilva e da Invitalia, aperta a soggetti pubblici e privati) per l'equivalente di non meno di 1.500 addetti a tempo pieno. Gli altri 2.300 sarebbero rimasti invece in amministrazione straordinaria. Una garanzia proposta, dunque, per tutti i lavoratori dell'acciaieria. Non abbastanza per una parte dei sindacati che hanno prevalso e rispedito al mittente l'offerta, consumando la rottura con il governo, in particolare con il ministro Calenda che sarebbe stato accusato di «non essere legittimato a trattare». Il testo «non è condivisibile», hanno detto i sindacati aggiungendo che «gli esuberi restano e Mittal non si è mossa di un millimetro».
In realtà, a far saltare il tavolo non sarebbero stati i contenuti industriali. «Uno scontro più politico che sindacale ha determinato l'interruzione del tavolo», ha ammesso Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl, spiegando che una parte della delegazione sindacale ha portato lo scontro sul terreno politico e ha detto al ministro che non era più legittimato a trattare.
Un muro contro muro suggellato via Twitter nel pomeriggio: per la Fiom la proposta del governo sull'Ilva «è irricevibile. La trattativa non è mai entra nel merito, ma nulla è comunque cambiato sull'occupazione. La Fiom non mette la firma su un accordo che prevede licenziamenti!». Immediata la risposta del ministro: «Liberi di non firmare e di sostenere che non sono più legittimato. Ma non di dire cose non vere. Non solo non si prevede neanche un licenziato, ma c'è la garanzia del posto di lavoro a tempo indeterminato per tutti i lavoratori Ilva. Basta leggere i punti dell'accordo sul sito del Mise». «Prendiamo atto dell'ennesimo fallimento del ministro Calenda sulla trattativa Ilva. Ora la palla passa al nuovo esecutivo con il quale rilanceremo la proposta di un accordo di programma plurale e condiviso», hanno replicato in serata i parlamentari grillini di Taranto.
«Siamo già a lavoro - aggiungono - per organizzare un tavolo tra esponenti del M5S e le sigle sindacali». Un banco di prova nei rapporti di forza politico sindacali che potrebbe presto estendersi ad altre partite chiave Alitalia.
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