Shell dà il via al risiko petrolifero

Ora le altre compagnie costrette a contrattaccare. Gli analisti: "Scenario positivo per Tenaris e Saipem". Che vola in Borsa (+5%)

Foto tratta da Wikipedia
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Decolla una nuova super major dell'oil and gas in Europa. La compagnia petrolifera anglo-olandese Royal Dutch Shell ha acquistato la rivale British Gas per 64 miliardi di euro (47 miliardi di sterline) rompendo il decennale digiuno da grandi acquisizioni nel settore. E scompaginando gli equilibri tra i colossi mondiali che ora, per difendere le proprie quote di mercato, potrebbero avviare un'ondata di operazioni analoghe. Ipotesi che ieri, in un mercato piuttosto cauto, hanno spinto al rialzo i titoli petroliferi italiani. Nel pomeriggio, però, la produzione dell'Arabia Saudita che ha messo a segno un nuovo record (10,3 milioni di barili/giorno a marzo, un rialzo di 450mila barili rispetto a febbraio), ha spento in parte le quotazioni: Tenaris (+0,74%) ed Eni (+0,30%) hanno rallentato Mentre Saipem in rialzo del 5% continua il rally (15% in tre sedute) dopo l'annuncio del prossimo arrivo dell'ad Stefano Caio). «Il risiko di settore - spiega un analista - è sicuramente positivo per Saipem e Tenaris, mentre ci sono pochi spazi per un potenziale coinvolgimento di Eni». A fine seduta, dunque, il rally vero lo porta a casa solo Bg (+30% a Londra), ma non Shell in rosso a New York, Londra e Amsterdam.

L'operazione, un misto cassa-azioni, porterà ai soci di Bg (ex monopolio di Stato privatizzato dal premier Margaret Thatcher nel 1980) il 19% della nuova società. Questo, attraverso una valutazione di 383 pence ad azione e la distribuzione di 0,4454 azioni Shell B per ogni titolo detenuto. «Ciò significherebbe - calcolano gli analisti di Mediobanca Securities - un valore di 1.367 pence per ogni azione Bg o un premio di circa il 50% rispetto al prezzo di chiusura di ieri del titolo (910,40 pence)». Shell prevede che la nuova società registrerà un leggero aumento dell'utile per azione già nel 2017, ma forte dal 2018 in poi. Inoltre, ha promesso un dividendo di 1,88 dollari ad azione nel 2015 e nel 2016. Il gruppo-anglo olandese avvierà un programma di buyback nel 2017, valido fino al 2020, per almeno 25 miliardi di dollari. Il gigante che nascerà dovrebbe dismettere le attività non strategiche per 30 miliardi di dollari.

Con questa audace mossa, fortemente voluta dall'ad Ben Van Beurden, Shell lancia la sfida al colosso Usa ExxonMobil (capitalizza 360 miliardi di dollari contro i 202 della Shell). L'operazione aumenterà del 25% le riserve di petrolio e di gas di Shell e il 20% della produzione e renderà il gruppo più competitivo in Australia e Brasile. Secondo Equita, «la fusione creerà una delle compagnie più grandi al mondo per produzione di oil&gas e di gas naturale liquefatto (gnl) con sinergie per 2,5 miliardi di dollari».

Dopo il crollo del petrolio e i tagli di bilancio che, a cascata, hanno colpito tutte le società del settore, con gli investimenti che sono stati ridotti all'osso (Shell li ha rivisti in gennaio di 15 miliardi), questa operazione è la prima reazione messa in campo nello scacchiere petrolifero. E non è un caso che a concretizzarla sia stata una delle società più forti e influenti d'Europa, una delle «sette sorelle» dei tempi di Enrico Mattei. Dopo le grandi fusioni degli anni 90 (col barile a 12 dollari), secondo gli analisti di SocGen la mossa di Shell potrebbe ora attirare l'attenzione sui gruppi di E&P (esplorazione e produzione). «Il fatto che la multinazionale petrolifera stia pagando un prezzo alto per accaparrarsi un portafoglio di qualità come quello di Bg - spiega - mette sotto i riflettori le compagnie con asset in Norvegia (Lundin, Detnor), Kurdistan (Genel, Dno), Africa occidentale (Tullow, Cosmos) e orientale (Africa Oil, Ophir)». Negli Usa, dove il calo dei prezzi ha depresso lo shale oil, sono visti come obiettivi Anadarko Petroleum, Hess, Whiting Petroleum, Marathon Oil e EOG Resources. Ed Exxon potrebbe essere il conquistatore per eccellenza.

In Europa, la più titolata tra i predatori è Total. Il gruppo francese ha dimostrato con il recente accordo ad Abu Dhabi di essere disposto a pagare per crescere. In Italia e Spagna, infine, Eni e Repsol non sarebbero nel mirino per le resistenze politico-sindacali.

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