Si riaccende il dibattito sulle soluzioni per uscire dall'impasse della previdenza

C'è un futuro in Italia per i nostri nipoti? É su questa domanda che si confronteranno, da posizioni diverse, economisti del calibro di Fitoussi, Luttwak, Tremonti, Passera e Taddei, nell'incontro organizzato da Sergio Iasi, amministratore delegato di Prelios, il 20 febbraio prossimo a Roma.
Ma il «convitato di pietra» che incombe sulla discussione è la generazione futura, che rischia di pagare duramente gli errori del presente. Come dimostrano i dati elaborati per Prelios da Alberto Brambilla, coordinatore del comitato tecnico scientifico del centro studi Itinerari previdenziali, già sottosegretario al Welfare con delega alla previdenza, il quale parteciperà alla tavola rotonda e al Giornale anticipa le sue proposte. Cominciando dalla risposta alla domanda chiave: chi paga le tasse in Italia?
«Su oltre 60 milioni di italiani, nel 2012, i contribuenti erano 41,3 milioni: solo 31,6 milioni hanno versato l'Irpef, ma appena 1,4 milioni hanno dichiarato redditi oltre 70mila euro. Gli altri - esclusi i 9,7 milioni che hanno un'imposta netta pari a zero - hanno versato 26,1 miliardi di Irpef, cioè 826 euro a testa. É pensabile che oltre la metà della popolazione viva con meno di 10mila euro l'anno? Non credo. E chi paga per loro sanità, sicurezza, scuola e servizi? Sempre gli stessi». Lo stesso vale per le pensioni: «Quelli che hanno pagato i contributi ieri, oggi si ritrovano nuovamente tassati: la legge di stabilità impone la deindicizzazione e il contributo di solidarietà sulle pensioni di 49mila italiani, lo 0,30% del totale. Invece di tagliare la spesa pubblica, si incentiva il lavoro nero». E qui Brambilla rilancia: «Se la politica s'impegnasse davvero a ridurre il debito pubblico per dare un po' di fiato alle giovani generazioni si potrebbe proporre, per 5 anni, l'applicazione di un contributo di solidarierà su tutte le pensioni retributive - quelle, cioè, che hanno importi superiori a quelli che deriverebbero dai contributi effettivamente versati - da aumentare in modo proporzionale all'entità della prestazione: si potrebbero ottenere circa 5 miliardi di riduzione del debito.

A esempio, fino a 700 euro lordi al mese un contributo dello 0,5%, cioè 3,5 euro al mese: poi incrementi graduali, per accelerare infine sulle pensioni tipo Banca d'Italia, fondi speciali, organi costituzionali e vitalizi dei parlamentari, ma anche di tutti quei colonnelli che a un anno dalla pensione diventano generali. E non dimentichiamo il Tfs (Trattamento di fine servizio) dei dipendenti pubblici, ancora oggi calcolato sulla base dell'ultima retribuzione».

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