Sindacati sul piede di guerra per l'accordo Intesa-Cucchiani

Sindacati sul piede di guerra per l'accordo Intesa-Cucchiani

La defenestrazione (dorata) di Enrico Cucchiani dal vertice di Intesa Sanpaolo non poteva cadere in un contesto peggiore. Solo poche settimane fa il sistema bancario italiano, piegato sotto 330 miliardi di crediti deteriorati e ridotto a una redditività da prefisso telefonico, ha disdettato il contratto che regola la vita dei 310mila addetti del settore perché «insostenibile».
Il calcolo è presto fatto: i 3,6 milioni di buonuscita (pari a due annualità) concessi a Cucchiani da Intesa Sanpaolo, sommati ai 900mila euro che intascherà nei prossimi 6 mesi per arrivare alla pensione, basterebbero per anticipare di un anno l'uscita dal lavoro di 110 bancari che lavorano nelle filiali o negli uffici di back office. La permanenza sul Fondo esuberi ha un costo medio prossimo a 200mila euro, diluito in 5 anni.
Da qui al 2018, l'ammortizzatore sociale del settore permetterà alle banche di scaricare sull'Inps altri 20mila addetti. L'Abi vorrebbe però sostituirlo con un «ente bilaterale» che consenta di aggirare il muro alle uscite posto dalla Riforma Fornero: lo scivolo si allungherebbe a sette anni, così da poter rottamare obbligatoriamente gli addetti over 55 con almeno 30 anni di contributi.
Visto che Cucchiani ha voluto restare fino ad aprile, senza alcun potere, pur di arrivare alla pensione, sorge spontaneo chiedersi quanto percepirà: sulla base dello stipendio attuale e dell'annual report 2010-2011 di Allianz, dove Cucchiani era entrato nel 2006, si può ipotizzare che il top manager riceverà dall'Inps un assegno da 98.500 euro lordi annui, pari a 4.900 euro netti mensili: il calcolo è stato fatto con il software «Carpe», lo stesso impiegato dal nostro Ente previdenziale. La cifra, non faraonica, va poi sommata ai trattamenti integrativi: solo i versamenti Allianz potrebbero valere altri 80mila euro annui. Il cocktail crisi-buonuscite fa quindi venire la bile ai sindacati, vista anche la minaccia dell'Abi di lasciare il settore senza contratto se non sarà trovato un accordo per riscriverlo entro il giugno 2014. «In questo Paese si è superato ogni limite», denuncia il leader della Fabi, Lando Sileoni: «Predicare bene e razzolare male fa perdere quel minimo di credibilità che il sistema bancario ancora pensa di avere». Il 31 ottobre sarà sciopero nazionale. A chiedere un tetto per i maxi-stipendi dei top banker è poi la Fiba-Cisl di Giulio Romani che sta raccogliendo le firme per una legge di inizativa popolare, così come sono in guerra la Uilca di Massimo Masi e la Fisac di Agostino Megale.
A spargere sale sull'uscita di Cucchiani, maturata dopo che il manager ha preso le distanze dal presidente Giovanni Bazoli sui prestiti concessi alla Tassara di Romain Zalesky, è poi un particolare emotivo: il grande capo del personale di Ca' de Sass è Francesco Micheli, il banchiere al quale l'Abi ha affidatola trattativa con i sindacati e che è fresco di promozione nel consiglio di gestione di Intesa, si dice su espressa richiesta del neo ad Carlo Messina.

Senza contare che, se messe con le spalle al muro, le banche potrebbero scegliere di mettere in mobilità i lavoratori in eccesso,chiedendo al governo di stornare una parte dei 200 milioni che, ogni anno, il comparto versa allo Stato per finanziare la cassa integrazione senza poi utilizzarla.

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