Spread in ritirata, grazie a Draghi

La discesa non dipende dai conti pubblici, sempre brutti, ma dal tasso Bce quasi a zero e dalla deflazione

Spread in ritirata, grazie a Draghi

Ieri lo spread tra Btp e Bund decennali ha chiuso a quota 127 punti base, facendo segnare il livello più basso da aprile 2011, alla vigilia della crisi del debito sovrano in Eurolandia. Il rendimento dei buoni del Tesoro è sceso al 2,017%, nuovo minimo storico. Per i Bonos spagnoli il differenziale si attesta a 111 punti con un tasso dell'1,858 per cento.

Anche il decennale portoghese (altro malato grave dell'Europa meridionale) rende il 2,81 per cento. Stessa sorte pure per il decennale irlandese: spread a 66,6 e rendimento all'1,41 per cento. Se i media enfatizzano continuamente i progressi compiuti da Dublino e da Madrid nel mettersi in regola e nell'attuare le riforme chieste da Bruxelles e dalla Germania, di più difficile comprensione è l'andamento del nostro Btp. Il differenziale di rendimento con la Germania è tornato ai valori che hanno caratterizzato la fase finale del quarto governo Berlusconi, quella precedente l'avvitamento nella crisi.

Il debito pubblico italiano, nell'arco di questi tre anni e mezzo, non è affatto diminuito, ma è passato da 1.890 a 2.085 miliardi di euro nonostante una sequela di manovre finanziarie restrittive. Il rapporto debito-Pil è aumentato dal 120,1% della fine del 2011 al 133,8% registrato al termine del primo semestre di quest'anno. La soglia del 3% del rapporto deficit-Pil è stata a malapena raggiunta in questi anni, segno che comunque lo Stato ha continuato a spendere più di quanto incassasse, mentre il prodotto interno lordo ha continuato a contrarsi inesorabilmente a causa della decrescita dei consumi e degli investimenti. Sulla base dei fondamentali macroeconomici, pertanto, è inspiegabile il fatto che l'Italia sia considerata più affidabile rispetto al periodo della burrasca, quando il Pil segnò l'ultima crescita su base tendenziale (il +0,5% del terzo trimestre 2011).

L'unico elemento differente è decisivo: tre anni fa il tasso di riferimento della Bce era all'1,75%, oggi è allo 0,05.

«Nell'ottica degli investitori istituzionali - spiega Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroders - ottenere un rendimento del 2% garantito dai titoli italiani è meglio dello zero con cui viene remunerata la liquidità da alcuni Stati come la Germania (il Bund rende lo 0,74%; ndr)». Senza contare che alcune banche tedesche (tra cui Commerz) applicano alla clientela istituzionale tassi negativi. Tutto merito di Mario Draghi che ha attuato «una politica monetaria che mira alla salvaguardia dei titoli sovrani dell'area euro» e di cui l'Italia ha beneficiato. «Casomai - conclude - è inspiegabile come tre anni fa lo spread fosse schizzato a 575 punti nonostante fondamentali buoni come una delle ricchezze pro capite maggiori d'Europa». Una spiegazione potrebbe risiedere negli squilibri economici ma soprattutto politici dell'area euro, cioè nell'azione omologatrice della leadership tedesca.

Ieri il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ha criticato la Commissione Ue per la troppa «indulgenza» nei confronti di Italia, Francia e Belgio che continuano a non rispettare il Patto di Stabilità e ha sottolineato che «la politica monetaria non può risolvere i problemi strutturali». La riunione della Bce di domani si preannuncia, come al solito, carica di tensione.

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