Economia

Statali, primi effetti della riforma Madia Oltre 5mila pensionamenti obbligatori

Arrivano le prime cifre sui pensionamenti obbligatori, scattati nella Pubblica Amministrazione dopo l’entrata in vigore delle regole del dl Madia

Statali, primi effetti della riforma Madia Oltre 5mila pensionamenti obbligatori

Arrivano le prime cifre sui pensionamenti obbligatori, scattati nella Pubblica Amministrazione dopo l’entrata in vigore delle regole del dl Madia. A quasi un anno si contano così 5.200 uscite tra i lavoratori con età compresa tra i 65 e 66 anni e tre mesi, frutto dell’abolizione del trattenimento in servizio e della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro. In particolare per circa 2 mila e 200 l’uscita è avvenuta al compimento dei 65 anni, il cosiddetto limite ordinamentale, valido per la gran parte della categoria. Si tratta di numeri usciti nel corso di un’interrogazione in commissione Lavoro alla Camera. Le cifre sono infatti contenute in una tabella presentata dal sottosegretario alla P.A, Angelo Rughetti, per rispondere alla questione sollevata dalla deputata del Pd, Marialuisa Gnecchi, che ha chiesto chiarezza su quelle donne, lavoratrici del pubblico, mandate a casa d’ufficio dopo aver festeggiato il 65esimo compleanno anche se con un’anzianità contributiva minima. Un problema che si sarebbe determinato a causa dell’effetto combinato di misure diverse, susseguitesi nel tempo. Il bollettino parlamentare riporta la posizione di Gnecchi, che ritiene "non sia corretto il licenziamento e il collocamento coatto in pensione di donne con pochi anni di contributi al compimento del limite ordinamentale dei 65 anni, solo perchè - è questo il requisito - al 31 dicembre 2011 avevano 60 anni di età se iscritte all’Inps e 61 se iscritte all’Inpdap".

Ora stando alle tabelle rilasciate in commissione da Rughetti, dopo il 31 ottobre la risoluzione del rapporto di lavoro e il relativo pensionamento coatto per aver raggiunto i 65 anni ha riguardato solo 4 persone con meno di 30 anni di contributi (1 uomo e tre donne), mentre la maggior parte ha lasciato con oltre 40 anni di anzianità (3.447, i due terzi). Le cifre però non convincono la deputata dem, che parla di "una risposta insoddisfacente, che si basa su numeri parziali". Tra l’altro Gnecchi sostiene che probabilmente "nel computo" fatto dal ministero "non sono stati compresi i dipendenti degli enti locali e della scuola". Adesso, secondo la parlamentare del Pd, c’è solo una cosa da fare: "riammettere in servizio tutte coloro che dal novembre del 2014 sono state collocate a riposo in modo coatto, man mano che hanno compiuto i 65 anni, per effetto dell’abrogazione del trattenimento in servizio". A riguardo Rughetti fa sapere che "il Governo è disponibile a un confronto in sede parlamentare per le possibili proposte in grado di affrontare» le problematiche poste con l’interrogazione. Il sottosegretario inoltre ha fornito i dati sui pensionamenti avvenuti con le vecchie regole, quelle precedenti all’intervento Fornero. Sempre in base alle informazioni, precisa,
trasmesse dall’Inps, da un anno a questa parte le uscite in deroga, per far fronte alle eccedenze di personale, sono state 2.984 (soprattutto uomini). Anche in questo caso, tabelle del ministero alla mano, solo una piccolissima parte dei dipendenti pubblici mandati a riposo aveva un’anzianità sotto i 30 anni (6 persone in tutto, sotto i 40 se ne contano 1.569).

Si tratta di tutto personale fatto uscire per evitare licenziamenti, in base alle previsioni della cosiddetta Spending Review del 2012 (bastano 61 anni e 35 di contributi o quota 96).

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