Economia

Il Tar "spegne" l'Ilva, pronto il ricorso

Tra 60 giorni area a caldo ferma, Arcelor al Consiglio di Stato. I casi Alitalia e Aspi

Il Tar "spegne" l'Ilva, pronto il ricorso

Nuova grana ambientale all'Ilva di Taranto, tornata nelle mani dello Stato dopo l'accordo (in divenire) tra Invitalia e Arcelor Mittal. E per il governo Draghi non c'è nemmeno il tempo di insediarsi. Sul giorno del giuramento, piove, da Taranto, una bomba industriale delicatissima da gestire.

ArcelorMittal ha infatti 60 giorni di tempo per spegnere gli impianti inquinanti dell'area a caldo dell'ex Ilva di Taranto. Il Tar di Lecce ha dato ragione al sindaco Rinaldo Melucci (Pd) e con una sentenza notificata nelle scorse ore ha rigettato gli appelli di Arcelor, del ministero dell'Ambiente e della Prefettura di Taranto confermando che alla multinazionale dell'acciaio sono assegnati circa due mesi di tempo «per il completamento delle operazioni di spegnimento dell'area a caldo». Insomma, niente di buono sul fronte industriale perché i sei reparti, già sequestrati nel 2012, ora vanno fermati. E maggiore sarà lo stop e più difficile sarà farli ripartire.

ArcelorMittal ha annunciato ricorso «immediato» al Consiglio di Stato, che potrebbe intervenire con una sospensiva in attesa del giudizio di merito. Ma le proroghe sembrano finite. «I tarantini hanno pagato spiegano i giudici nelle 60 pagine del provvedimento in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei ragionevoli limiti, il cui rispetto solo può consentire, secondo la nostra Costituzione, la prosecuzione di siffatta attività industriale».

Al governo Draghi spetterà ora il compito di gestire la situazione che dal 2012 ha toccato tutti gli esecutivi che si sono succeduti. La grana è concretamente nelle mani del nuovo ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e potrebbe inevitabilmente ampliarsi visto che l'ingresso dello Stato è in divenire. L'accordo tra ArcelorMIttal e Invitalia prevede un aumento di capitale di AmInvest Co. Italy Spa per 400 milioni, che darà a Invitalia il 50% dei diritti di voto della società. A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento da parte di Invitalia (per 680 milioni) e fino a 70 milioni da parte di Arcelor Mittal. Al termine dell'operazione, tra due anni, Invitalia avrà il 60% del capitale e Arcelor Mittal il 40%. Un percorso lungo che, in caso di totale decarbonizzazione, assorbirà ingenti risorse statali.

Ma l'Ilva è solo la prima delle grane industriali e finanziarie in mano al governo Draghi che da domani dovrà anche guardare con molta attenzione ai casi Alitalia, Monte Paschi e Autostrade. In merito a quest'ultimo dossier, si avvicina una nuova scadenza: il 24 febbraio è infatti il termine per la presentazione di un'offerta vincolante da parte del consorzio Cdp Equity Blackstone e Macquarie per l'acquisto dell'88% di Aspi, dopo che le precedenti proposte sul valore della società sono state considerate insoddisfacenti da Atlantia.

Quanto alla vecchia Alitalia, l'urgenza - come ha detto il commissario Giuseppe Leogrande riguarda la cassa (ormai vuota) e lo sblocco della nuova compagnia. La Commissione Ue sta valutando l'effettivo rilancio in discontinuità, necessario per evitare una procedura per aiuti di Stato. L'Antitrust Ue deve inoltre decidere su due prestiti ponte (400 e 900 milioni) concessi dallo Stato a Alitalia.

A tenere banco sarà infine il destino e l'aumento di capitale del Monte Paschi, che l'ormai ex governo Conte premeva per consegnare a Unicredit con una ricca dote fiscale, così da consentire l'uscita del Tesoro (64%).

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