Milioni di schede sim fantasma. Uno sconfinato mercato parallelo che avrebbe arricchito manager e dipendenti Telecom, rivenditori autorizzati, e procurato enormi vantaggi economici alla società. Numeri impressionanti, nell’inchiesta su un presunto business illecito di carte telefoniche chiusa dalla Procura di Milano: 99 indagati - tra cui la stessa Telecom Italia, per responsabilità amministrativa (mentre all’ad Marco Patuano è stato notificato l’atto in qualità di legale rappresentante) - tra dirigenti e cosiddetti dealer (punti vendita). E un beneficio economico per la società di tlc calcolato dai pm in una cifra che si aggira (solo per l’anno 2008) intorno ai 230 milioni.
I fatti riguardano un periodo compreso tra il marzo del 2007 e quello 2009 (il controllo del gruppo è passato dalla Pirelli al pool Mediobanca, Generali, Intesa e Telefonica tra l’aprile e l’ottobre del 2007). Un bersaglio grosso colpito a partire da una piccola stazione dei carabinieri (Busto Arsizio, poi supportata dal Nucleo investigativo di Milano), che quasi tre anni fa ha raccolto denunce su un giro sospetto di schede sim. E così, nel corso delle indagini, la Procura ritiene di aver scoperto un vero e proprio sistema creato all’interno della divisione «stranieri» di Telecom (poi smantellata in seguito alle prime perquisizioni), l’ufficio nel quale erano anche stati trovati diversi documenti di identità falsi o utilizzati all’insaputa dei titolari. Cosa accade? Che, secondo i pm Francesco Cajani e Massimiliano Carducci, tre manager e 11 dipendenti Telecom (ora accusati di associazione per delinquere, ricettazione, falsi documentali, violazione della legge sulla privacy) avrebbero messo in piedi assieme a 85 fra gestori e titolari di 66 punti vendita un meccanismo per vendere milioni di sim card con falsi documenti, contratti fittizi e liberatorie farlocche.
Reati, sostiene la Procura, «commessi nell’interesse della società, che non aveva fatto opera di prevenzione né si era preoccupata di vigilare». I vantaggi erano un po’ per tutti. Per i dipendenti, a cui andava un bonus per le schede piazzate. Ai dealer, che potevano vendere a prezzo maggiorato tessere che garantivano di fatto l’anonimato a chi le avesse acquistate. E a Telecom, che in virtù del volume superiore di card messe sul mercato, avrebbe così rafforzato la propria posizione. Le schede, invece, finivano in un circuito parallelo nel quale si muoveva anche la criminalità. Molti dei numeri associati alle sim, infatti, sono gli stessi che i magistrati hanno intercettato nel corso di altre indagini. E non è la prima volta che Telecom finisce nella bufera per le schede telefoniche. Nella primavera scorsa, infatti, era stata la Gdf a presentarsi negli uffici milanesi e romani della società per le carte prepagate «fantasma» messe in circolazione soprattutto fra il 2005 e il 2007, in un’inchiesta nata dopo l’acquisizione di un rapporto di Deloitte (commissionato dall’azienda telefonica) in cui erano evidenziate alcune «criticità e carenze nei controlli interni». «Telecom è parte lesa - fanno sapere dalla società - e si costituirà parte civile verso gli imputati.
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