Economia

Telecom prende tempo sul piano

Telecom prende tempo sul piano

Telecom sotto il fuoco incrociato della riorganizzazione interna e dell'uscita dei soci italiani dal patto di sindacato di Telco. Il tempo stringe e i giochi sono tutt'altro che fatti. Da un lato c'è il piano per creare due società separate tra consumer e business. L'idea del presidente Franco Bernabè sarebbe una holding dove far confluire anche quella che sarà la neonata società della rete (dopo lo scorporo) e i servizi ai clienti. Il piano strategico però è complesso. Tanto che ieri è stato lo stesso Bernabè ad aver praticamente annullato il cda previsto per il giovedì prossimo, spiegando che non era mai stato convocato. «Quel cda non era mai stato confermato ma c'ne era uno già previsto per il 3 ottobre. Abbiamo quindi deciso di farne uno solo ma senza una ragione in particolare». Invece una ragione c'è. Il 3 ottobre infatti le idee saranno più chiare per quanto riguarda la possibilità di uscita dei soci Telco dal patto, che hanno tempo fino al 28 di settembre per disdettare l'intesa o per rinnovarla, ipotesi poco probabile.
All'orizzonte c'è comunque l'asso pigliautto. Gli spagnoli di Telefonica, pattisti in Telco con la quota maggiore, pari cioè al 46%, che stanno ufficialmente trattando con Telecom. Telefonica dovrebbe rilevare le quote degli altri azionisti Telco (Generali ha il 30% mentre Mediobanca e Banca Intesa hanno l'11% ciascuno) ma, secondo indiscrezioni al momento le offerte fatte sarebbero troppo basse. Telefonica, l'ex monopolista spagnolo è, come Telecom, molto indebitata. Il suo debito è pari a circa 50 miliardi. Ed è per questo che, secondo gli analisti del Banco Santander, uno dei soci di Telefonica, è improbabile che la compagnia rafforzi la sua presenza perchè aumenterebbe il carico del proprio debito. Per la banca spagnola c'è inoltre il rischio che qualsiasi gruppo straniero interessato a Telecom (e qui la lista è lunga si va da Naguib Sawiris agli statunitensi di At&T fino a Carlos Slim), venga fermato dal governo italiano. A questo punto però, se non si vende, l'unico modo per evitare una ricapitalizzazione sarebbe la cessione di Tim Brasil. Il rischio di un aumento di capitale da almeno 3 miliardi di euro sussiste ormai da tempo e i dubbi su chi sarà, nel caso, pronto a sottoscriverlo hanno contribuito a frenare il titolo in Borsa nelle ultime sedute. Ieri poi si è aggiunto anche il downgrade di Citigroup che ha abbassato il rating da «neutral» a «sell» con target di prezzo a 0,5 euro.
Il titolo ha nuovamente pagato (-0,825) sia il downgrade sia il futuro incerto gravato da un debito da 28,8 miliardi. Da fine agosto comunque Telecom in Borsa ha guadagnato circa il 30% anche se il bilancio a un anno è sempre sotto del 23%. Per Asati, l'associazione dei piccoli azionisti, Telefonica è interessata solo al mantenimento dello «status quo» per evitare che Telecom cresca troppo in Brasile dove le società sono concorrenti nella telefonia mobile. Ieri Bernabè, presente a un convegno, ha sottolineato gli errori compiuti negli anni su Telecom. «Le imprese - ha affermato- in un mondo globalizzato devono avere spalle molto larghe, garantite da due aspetti: o sono proprietà dello Stato o pubblic companies. In Italia si è scelto di non avere nè stato nè mercato, ma un gruppo di azionisti privati che controllavano società più grandi di loro». Il risultato è che la società potrebbe finire in mani straniere e che l'Italia perderebbe una delle aziende di maggior prestigio che investe in iniziative anche di tipo sociale.

Come quella lanciata ieri dalla Fondazione Telecom: un bando da un milione di euro destinato a sostenere progetti in diversi comuni italiani per l'integrazione multietnica.

Commenti