«Disturbo se fumo?». «Le dispiace se muoio?». Negli Stati Uniti il tambureggiare mediatico delle campagne antitabacco, unito al crescente proibizionismo e al carico di tasse (pesano per il 62% sul salatissimo prezzo al banco), ha per anni dato i suoi frutti. Il consumo di bionde ha cominciato a declinare già negli anni '80 e dai 640 miliardi di «pezzi» del 1981 il consumo è crollato lo scorso anno a 263 miliardi. Una china che sembrava inarrestabile, mentre cresceva il mito degli americani inossidabili salutisti e capaci di resistere alle tentazioni. Almeno a quella del fumo. Già: col cibo è tutt'altra storia, soprattutto con le molteplici declinazioni del junk food, responsabile degli alti indici di obesità. Ora, però, rispunta l'antico vizietto: gli americani stanno ricominciando a flirtare con il rotolino di tabacco, complice i bassi prezzi dei carburanti che hanno liberato risorse per finanziare la spesa - non per tutte le tasche - del pacchetto da venti. La spia della rinnovata liaison dangereuse sono le spedizioni di sigarette, cresciute di quasi il 3% nei primi sei mesi dell'anno.
Questa sorta di resurrezione tabagista avrà sicuramente implicazioni sanitarie in futuro, ma fin d'ora sta garantendo ricchi affari sul mercato dei cosiddetti tobacco bond, uno dei segmenti più rischiosi all'interno di quel mare magnum che sono le «obbligazioni municipali», il cui valore si aggira sui 3.700 miliardi di dollari. I tobacco bond sono il frutto del «Tobacco Master Settlement Agreement» del 1998 con cui major come Philip Morris, Reynolds American, Brown&Williamson e Lorillard hanno posto fine a un lungo contenzioso con 46 Stati che chiedevano un risarcimento per i costi sopportati a causa delle malattie provocate dal fumo. Ogni anno (e per sempre) le multinazionali si sono impegnate a versare una cifra iniziale di 9 miliardi, che però varierà in base a quante sigarette vengono consumate e all'andamento dell'inflazione. Un certo numero di Stati ha deciso di incassare subito anche i flussi futuri con l'emissione di bond pluriennali. Un mercato che negli anni è cresciuto in modo esponenziale nonostante l'alto livello di rischio. Gran parte dei 94 miliardi di queste obbligazioni, infatti, non sono garantite da chi li emette e sono al di sotto dell'investment grade, ovvero il livello minimo di sicurezza richiesto dagli investitori istituzionali. Ciò non ha tuttavia impedito a un colosso della gestione globale come Pimco di essere il secondo maggior possessore di questi titoli (esposizione per 141 milioni di dollari), mentre lo Stato del Delaware (27,3 milioni) si colloca al settimo posto della graduatoria. Ad attirare gli investitori, soprattutto nell'ultimo anno e mezzo, sono stati i ritorni garantiti: mentre i prezzi sono ai massimi del biennio, nel 2014 il rendimento medio è stato del 19%, cui va sommato il 9,4% del 2015.
Performance sostanziose, cinque volte superiori rispetto a quelle assicurate dai bond municipali.Certo, per scommettere su un asset privo di paracadute ci vuole coraggio, o spalle particolarmente robuste da sopportare un eventuale default dei titoli. Un rischio neanche troppo ipotetico, secondo gli analisti che ritengono ingiustificato l'attuale rally.
L'incremento dei consumi - spiegano - potrebbe infatti essere temporaneo in caso di ripresa dei prezzi dei carburanti. Moody's ha stimato che se le consegne di sigarette dovessero subire una flessione del 4% su base annua, l'80% dei tobacco bond farebbe bancarotta. Miliardi di dollari - è il caso di dirlo - in fumo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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