Il neopresidente del Monte dei Paschi, Massimo Tononi, si è subito messo al lavoro per trovare il partner alla banca più antica del mondo. E avrebbe già ottenuto qualche riscontro: secondo quanto riferiscono fonti finanziarie al Giornale , il vertice del Monte avrebbe individuato due possibili candidati alle nozze e punterebbe comunque a realizzare la fusione chiesta dalla Bce con l'approvazione della prima trimestrale del 2017. Nel frattempo, verrebbe potenziato il back-office (ovvero le operazioni relative alla gestione amministrativa) che andrebbe a compensare, soprattutto sul territorio toscano, il probabile spostamento della direzione generale.
Il nome dei due papabili «fidanzati» resta però coperto dal massimo riserbo. La stessa fonte si limita ad aggiungere che non si tratta di soggetti italiani e che comunque non per forza il partner dovrà essere una banca, «nell'ottica di un'aggregazione va bene anche un fondo di investimento».
«Si tratta di procedure che richiedono tempo», aveva ammesso lo stesso Tononi lo scorso 23 settembre, appena insediato: per trovare il partner alla banca senese non basteranno pochi mesi, Mps «ha un conto economico in forte e progressivo miglioramento, nonostante il rimborso dell'aiuto pubblico», tuttavia «ha ancora lavoro da fare», a cominciare dai 45 miliardi di crediti a rischio, un terzo del totale, che una bad bank (ancora in alto mare) potrebbe contribuire ad alleggerire. Il periodo per trovare uno sposo, inoltre, non è dei più facili, tutti aspettano di conoscere i risultati delle ultime verifiche imposte da Francoforte (i cosiddetti Srep) sulle banche europee prima di impostare le strategie future. Compresi i papabili alleati. Di certo, ad accompagnare all'altare il Montepaschi sarà Tononi. Il successore di Alessandro Profumo dovrà fare tesoro dell'esperienza accumulata in materia di fusioni e acquisizioni quando lavorava a Goldman Sachs. Ma sicuramente, essendo stato allevato alla scuola di Beniamino Andreatta, ascolterà anche i suggerimenti di un grande vecchio della finanza come il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli (cui Andreatta affidò il rilancio del Banco Ambrosiano dopo il crac degli anni Ottanta) e di un altro andreattiano come il patron delle fondazioni, Giuseppe Guzzetti.
Negli ultimi mesi qualcuno avrebbe però cercato - invano - di sbarrare la strada al banchiere trentino proponendo al governo Renzi una soluzione alternativa per l'istituto di Rocca Salimbeni. Secondo quanto risulta al Giornale , a muoversi sarebbe stato il vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, (con l'appoggio, pare, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti) suggerendo - in cambio di eventuali contropartite - di trasformare Mps in una banca regionale sotto il cappello di Unicredit. Il ministero del Tesoro sarebbe rimasto come azionista (dopo la conversione dei Monti bond) per altri due anni e al vertice sarebbe stato nominato un presidente «di campanello», ossia con scarse deleghe operative. Progetto rimasto in stand-by anche per le vicende giudiziarie che vedono coinvolto il banchiere torinese indagato dall'Antimafia di Firenze. E forse non è un caso che l'inchiesta sia deflagrata proprio in questi giorni.
A Piazza Affari, intanto, il titolo Mps ha chiuso la seduta lasciando sul terreno l'1,04 per cento.
I miliardi di euro di crediti a rischio - un terzo del totale - ancora «in pancia» al Monte dei Paschi
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