Trump, altro siluro a Powell: "Un errore la sua nomina"

Il presidente Usa ritiene la Fed la "principale minaccia per l'economia" perché alza i tassi troppo rapidamente

Trump, altro siluro a Powell: "Un errore la sua nomina"

Avete mai sentito Donald Trump pronunciare un mea culpa? Questa volta, il tycoon ci va molto vicino parlando della nomina di Jerome Powell a capo della Federal Reserve: «Posso essere onesto? Non biasimo nessuno. Metterlo là potrebbe essere stato giusto ma anche sbagliato». Ormai siamo alla crociata personale contro uno degli uomini più intoccabili della terra. Abituato com'è a scardinare ogni regola, l'inquilino della Casa Bianca prosegue con furia iconoclasta a tirare picconate al palazzo di Eccles Building. La Fed è ormai la «principale minaccia» per l'economia, giudizio tranchant motivato con una specie di supercazzola presidenziale: «Sta alzando i tassi d'interesse troppo velocemente. È indipendente e quindi non sto parlando a loro, ma non sono contento di quello che sta facendo perchè sta andando troppo speditamente e se si guarda ai dati sull'inflazione sono molto bassi».

Le strette al costo del denaro, manovre potenzialmente dannose per chi punta a un secondo mandato, hanno cominciato a risultare indigeste a The Donald dallo scorso luglio. È da allora che gli sono saltati i freni inibitori, con il mirino puntato soprattutto sul suo uomo, quel Jay che doveva avere il piumaggio della colomba e che si è poi rivelato ben altro: un falco allevato in seno. Anzi, peggio: «Un pazzo», come l'ha definito qualche giorno fa. Powell sta cercando di completare l'opera, intrapresa da Janet Yellen, di normalizzare la politica monetaria americana dopo il periodo emergenziale post-mutui subprime. Così, da quando si è seduto nella Sala Ovale, Trump ha dovuto digerire sei rialzi del costo del denaro. Il prossimo dicembre dovrà sopportare un ulteriore giro di vite e, probabilmente, altri tre nel 2019. Le minute dell'ultima riunione, diffuse nella serata di ieri, confermano la traiettoria di aumenti «graduali» tesi a garantire alla banca centrale le necessarie munizioni, ovvero tassi di almeno 400 punti base da poter tagliare in caso di recessione. In più, c'è la messa in guardia contro i pericoli per la crescita e l'inflazione derivanti dalla guerra a colpi di dazi condotta dalla Casa Bianca.

Il numero uno della Fed sta però anche provando a governare la correzione di Wall Street. Ripulire il mercato dagli eccessi degli ultimi anni, scanditi da ondate di buy back con cui è stato gonfiato il prezzo dei titoli, non è però facile. C'è sempre il rischio che qualcosa vada storto. Ma la discontinuità tra Powell e i suoi predecessori (sia la Yellen, sia Ben Bernanke) sta nel fatto che l'ex pupillo della Casa Bianca non intende intervenire neppure se il mercato accumulerà una perdita del 20-25% in poco tempo.

L'ha detto proprio lui, ricordando che la Fed si muoverà solo se la correzione sarà «significant», cioè tale da creare una situazione di instabilità finanziaria, e comunque in modalità «lasting», ovvero con tempi di reazione meno rapidi rispetto al passato.

Trump si rassegni, dunque. O cacci Powell. Nei quasi 100 anni di storia della Fed, nessun presidente è mai stato licenziato. Ma con l'uomo del «You're fired!» televisivo, mai dire mai.

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