Difficile che Donald Trump abbia mai letto il «Caligola» di Camus, o che abbia vaghe reminiscenze del motto sessantottino che proprio dalla pièce teatrale discende, ma quel «Siate realisti, chiedete l'impossibile» ben si attaglia al presidente Usa. Non avendo ancora portato a termine la complessa partita a scacchi sui dazi con la Cina, ieri il tycoon è tornato a lanciar siluri dal sommergibile di Twitter al suo bersaglio preferito, la Federal Reserve del nemico Jerome Powell. Il primo: «La Fed dovrebbe tagliare i tassi, penso che abbia davvero rallentato la crescita economica americana (a causa della sua politica monetaria, ndr)». Il secondo: «Non c'è inflazione, dovrebbe esserci davvero un allentamento quantitativo... Se lo facessero, vedremmo un razzo spaziale. Nonostante ciò, stiamo andando molto bene».
Insomma, non contento di aver ottenuto la capitolazione di Eccles Building, trasformata in poco meno di tre mesi da falco a docile colomba che non intende toccare più le leve del costo del denaro per tutto il 2019, l'inquilino della Casa Bianca pretende non solo una sforbiciata ai tassi (ora al 2,25-2,50%), ma anche che vengano rimesse in moto le rotative del quantitative easing per una quarta edizione. Con ciò dimostrando di essere uomo capace di cambiare idea. In un tweet di fine settembre 2011, così tuonava: «Le politiche sconsiderate della Fed, con bassi tassi d'interesse e inondazioni del mercato con dollari, devono essere fermate o ci troveremo ad affrontare un'inflazione record». Naturalmente, dell'inflazione non si è vista neanche l'ombra. In ogni caso, come una misura emergenziale tipo il Qe, varata per rianimare un'economia collassata sotto i colpi dei mutui subprime, si accordi con un'economia che «sta andando molto bene» resta un mistero trumpiano. Ma il punto è un altro. Prima Janet Yellen e poi lo stesso Powell, hanno faticosamente cercato di far dimagrire un bilancio gonfiato come un palloncino in seguito alla Grande crisi e arrivato a toccare, a colpi di acquisti miliardari di asset, i 4.500 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2016. Oggi il portafoglio è meno ipertrofico (3.800 miliardi circa), ma non si può dire ancora normalizzato. Rispetto ai desiderata di Trump, riavvolgere il nastro del Qe significherebbe sconfessare quanto fatto negli ultimi anni anche per togliere dal campo di gioco (leggi: Wall Street) quel moral hazard su cui i mercati hanno campato (e speculato), e anche ammettere implicitamente che la situazione non è così rosea come vorrebbe far credere The Donald.
E, per la verità, il film zuccheroso dell'America che continua a crescere stride un po' con qualche cifra congiunturale. Come per esempio quelle di ieri sul mercato del lavoro: 196mila posti di lavoro creati in marzo, più dei 175mila attesi, col tasso di disoccupazione rimasto al 3,8%. Tutto bene? Non proprio. Il balzo è interamente dovuto ai lavoratori part-time, saliti di 60mila unità, mentre i lavoratori a tempo pieno sono diminuiti di 190mila, il più grande calo mensile da agosto 2018. Quindi, meno buste paga da capo-famiglia. Un'altra mazzata al ceto medio.
Il tutto mentre non c'è pressione al rialzo sui salari, il cui tasso di crescita su base annua di è ridotto dal 3,4% di febbraio al +3,2% (e qui Trump ha ragione a sottolineare l'assenza di spinte inflazionistiche), e mentre sono 5,2 milioni gli americani disoccupati che cercano un lavoro, 400mila in più rispetto alla media del periodo 2003-2007. Standard&Poor's ha già messo in conto che il Pil Usa non andrà oltre un +2,2% quest'anno. Trump lo sa: ecco perchè pretende la luna dalla Fed.
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