Trump ha un poker di nomi per la presidenza della Fed

Il tycoon dovrà scegliere fra le colombe Yellen e Powell oppure affidarsi al falco Warsh. Taylor è l'opzione choc

Trump ha un poker di nomi per la presidenza della Fed

Se non ci fosse stato quel pasticciaccio brutto di Charlottesville, la Federal Reserve avrebbe già il suo nuovo presidente designato nella persona di Gary Cohn, attuale consigliere economico della Casa Bianca. Vicinissimo a Donald Trump fino a quando il presidente-tycoon si è dimenticato di condannare con fermezza le violenze commesse da neo-nazisti e suprematisti bianchi, Cohn (di origini ebraiche) si è di fatto auto-escluso dalla corsa per la poltrona più ambita di Eccles Building. Il toto-nomine, come si nota dalla tabella a fianco, lo accredita ancora di qualche chance, ma il distacco accumulato con chi si colloca nelle prime posizioni non sembra più colmabile.

I giochi, in ogni caso, non sono ancora fatti. Trump sta sfogliando la margherita dei papabili. Ieri, sull'argomento, è rimasto sul vago: «I candidati mi piacciono tutti». Così, per avere una visione più chiara occorrerà aspettare la prossima settimana, quando l'inquilino della Studio Ovale avrà un faccia a faccia con l'attuale numero uno della Fed, Janet Yellen, il cui incarico scadrà il prossimo 3 febbraio. Il Wall Street Journal, che cita fonti della Casa Bianca, rivela che il presidente Usa annuncerà la sua scelta prima di partire per il suo viaggio in Asia il prossimo 3 novembre. La riconferma della prima donna a capo della banca centrale più potente al mondo, per quello che sarebbe il suo terzo mandato, è stata caldeggiata più volte dal suo vice, il dimissionario Stanley Fisher. Sulla carta è la scelta più logica: garantirebbe continuità nella politica monetaria, con un approccio soft nella correzione della barra dei tassi d'interesse che certo non dispiacerebbe ai mercati. Il successore di Ben Bernanke ha però in uggia l'intento iconoclasta con cui il presidente Usa vorrebbe rottamare la regolamentazione imposta a Wall Street dopo i disastri dei mutui subprime e ha più volte criticato il suo piano-choc di abbattimento delle aliquote fiscali. Due «no» che, alla fine, potrebbero costarle la riconferma.

Chi infatti si trova in cima alla lista dei papabili è Jerome Powell, di casa alla Fed (è membro del board), appoggiato dal segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, e soprattutto allineato alle posizioni trumpiane sulla deregulation finanziaria. Del resto, chi è stato partner dell'hedge fund Carlyle potrebbe forse imporre la museruola ai mercati? Insomma, un liberista convinto che vuole più crescita per il Paese. Come Trump.

Se un'eventuale nomina di Powell alla presidenza della Fed non avrebbe grossi impatti sulla politica monetaria, tutt'altro spartito verrebbe invece suonato da Kevin Warsh, governatore della banca centrale dal 2006 al 2011 e fermo oppositore delle politiche espansive di Bernanke, e dall'economista di Stanford ed è ex sottosegretario al Tesoro sotto George Bush padre, John Taylor, le cui quotazioni sono prepotentemente salite negli ultimi giorni. Con un'immediata risalita dei rendimenti dei Bond a breve termine. Il motivo? Sta nella Taylor Rule, sviluppata dall'accademico per determinare il corretto livello dei tassi. Ebbene, se applicata, la regola indica che il costo del denaro dovrebbe essere non all'1,25% ma al 5,7%. Un livello insostenibile.

Dunque, un falco all'ennesima potenza. L'esatto opposto di Neel Kashkari, attuale presidente della Fed di Minneapolis. È solo un outsider, ma è quello dai soldi facili, ed è populista al punto giusto da piacere a Trump.

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