Da Trump stangata anche al Messico

La minaccia di dazi fino al 25% pesa sui mercati. Crollano i titoli dell'auto (Fiat -4,7%)

Da Trump stangata anche al Messico

«Gli investitori devono stare calmi». L'invito di Peter Navarro, falco tra i falchi dell'amministrazione Usa, è caduto nel vuoto. Ieri, i mercati non ce l'hanno proprio fatta a restare calmi dopo che Donald Trump ha deciso di allargare anche al Messico il fronte della guerra commerciale. La medicina è la stessa, quella a dosi crescenti fatta ingoiare alla Cina nei lunghi mesi di conflitto: dazi del 5%, a partire dal 10 giugno, sulle importazioni dal Paese del Centro-America, destinati ad aumentare al 15% dal 1° agosto, per poi salire al 20% all'inizio settembre e al 25% il 1° ottobre. Il tycoon, come ha spiegato in un tweet dai toni accesi, è stanco di un Messico che «si è avvantaggiato degli Stati Uniti per decenni. A causa dei Democratici, le nostre leggi sull'immigrazione sono pessime. Il Messico fa fortuna grazie agli Usa, lo ha fatto per decenni, può facilmente risolvere questo problema. È ora che faccia finalmente quello che deve fare!». Cioè bloccare i migranti clandestini. Pesano nel computo, a detta della Casa Bianca, anche i 100 miliardi di dollari di deficit commerciale.

La retorica è la solita, la tattica la stessa. The Donald è convinto che, di fronte alla prospettiva di subire imposizioni tariffarie salate, le corporation Usa di stanza in Messico faranno le valigie per tornare sul suolo statunintense. In particolare quelle dell'auto, settore dove il Paese guidato da Andrés Manuel López Obrador si «è preso il 30%» della produzione a stelle e strisce. L'inquilino della Casa Bianca ha toccato un aspetto cruciale. Non è un caso se ieri le Borse sono finite tutte in rosso, con ribasso compresi fra lo 0,73% di Milano e l'1,63% di Tokyo, proprio a causa della caduta subita dai titoli automobilistici. A Piazza Affari, Fca ha lasciato sul terreno il 4,76%. Un tonfo vero e proprio. Anche se l'esposizione diretta in Messico del gruppo è limitata, gli analisti fanno notare che la minaccia di Trump «crea scompensi all'interno dell'intera filiera dell'auto». D'altra parte, nell'ultimo decennio i grandi player delle quattro ruote hanno aumentato i loro investimenti sul suolo messicano, approfittando di un accordo commerciale favorevole con gli Stati Uniti e di una forza lavoro di alta qualità e a basso costo. E ora, tutto questi sforzi rischiano di essere vanificati. Così, nessuno si è salvato: nè Volkswagen (-2,60%), nè Bmw (-1,63%) e nemmeno Daimler (-1,83%) a Francoforte. L'Eurostoxx del comparto riassume con un -2% la giornata nera. A Wall Street, stessa musica: Ford giù del 2,7%, GM del 4,3% e Fca del 5,1%. Le vetture prodotte nella nazione dell'America centrale corrispondono a circa il 10% delle vendite Usa, e secondo gli analisti di Evercore ISI anche solo dazi iniziali del 5% potrebbero ridurre gli utili fino a un massimo del 10% su base annua. Ma la vera ecatombe è stata quella delle auto giapponesi: Mazda, che produce circa 180mila vetture in Messico, ha perso il 7,13%; Nissan, presente da mezzo secolo nel Paese latino-americano (769mila auto uscite dalle sue fabbriche messicane nel 2018), è crollata del 5,31%; Toyota ha invece limitato i danni (-2,84%) nonostante 190.000 automobili prodotte in Messico, la maggior parte delle quali esportate negli Usa, forse grazie alla decisione di aprire nel 2021 un impianto in Alabama.

Insomma, l'apertura di un nuovo fronte di guerra da parte di Trump rischia di indebolire l'economia globale e destabilizzare i mercati. JP Morgan non ha dubbi: se si arriverà davvero a imporre dazi del 25% su tutti i beni importati dal Messico, la Federal Reserve taglierà i tassi due volte nel 2019, probabilmente in settembre e in dicembre.

Il presidente Usa si sta intanto facendo altri nemici in casa, dal momento che la Camera di commercio americana e altre organizzazioni stanno valutando se denunciare la Casa Bianca proprio a causa delle tariffe annunciate contro il Messico. Altre grane in vista.

Come quelle in arrivo da Pechino, vicina alla messa a punto di una black list con cui aziende e individui stranieri saranno banditi dai rapporti commerciali con le imprese cinesi. L'impatto maggiore potrebbero subirlo colossi come Apple e Nike.

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