Il futuro di Unicredit è già cominciato. I risultati del 2011, pur scontando svalutazioni e oneri straordinari per 10,3 miliardi (a causa di 8,6 miliardi di svalutazioni di avviamenti nel terzo trimestre) che hanno determinato una perdita netta consolidata di 9,2 miliardi, hanno mostrato i primi segnali di Inversione di tendenza. «La performance ha confermato la tenuta del gruppo in uno scenario molto difficile e l’esecuzione del nostro piano strategico ci consentirà di realizzare una più elevata redditività per i nostri azionisti», ha commentato l’ad Federico Ghizzoni dichiarandosi «molto fiducioso» sul ritorno alla cedola nel 2012.
Come detto, le basi di partenza sono incoraggianti. Innanzitutto nel quarto trimestre Unicredit ha battuto le stime del mercato conseguendo un utile netto di 114 milioni (-64,5% su base annua), mentre gli analisti stimavano una leggera perdita. C’è un’altra buona notizia sempre sul fronte commerciale: l’Italia ha ripreso a funzionare. Il business di Unicredit nel nostro Paese, dopo tre anni, ha conseguito un utile ante imposte di 598 milioni di euro (perdita di 177 milioni nel 2010) e i ricavi sono aumentati del 6,3% a 10,9 miliardi.
Anche a livello patrimoniale c’è spazio per l’ottimismo. Il Core Tier di fine 2011 si attestava all’8,4% ma considerando l’aumento di capitale da 7,5 miliardi di inizio anno è già al 9,97% ben sopra il minimo regolamentare del 9% imposto dall’Eba e, includendo il recente riacquisto di titoli Tier 1 e Tier 2, la soglia del 10% può considerarsi superata. Il totale attivo si è attestato a 926,8 miliardi di euro (-0,3% annuo e -2,5% sul trimestre) evidenziando che è stato avviato un moderato deleveraging. Il mercato può tranquillizzarsi: gli attivi ponderati per rischio sono aumentati di circa 5,5 miliardi a quota 460. Ecco perché alla fine la Borsa ha apprezzato (toccato un massimo a 4,1 euro) ma l’inversione di tendenza degli indici ha fatto chiudere Unicredit con un modesto guadagno (+0,1% a 3,97 euro). Merrill Lynch ha confermato lo strong buy considerato che i risultati hanno centrato i target con un margine di intermediazione a 25,2 miliardi (-25,2%) e un risultato di gestione a 9,7 miliardi (-9,4%).
Alla fine le uniche vere preoccupazioni non sono tanto i bond greci (che sono «costati» 400 milioni di svalutazioni nel 2011), ma la riforma delle pensioni che posticiperà al 2014-2015 l’esodo di 3.500 dipendenti previsto dal piano e soprattutto il 9,8% in Fonsai che ha determinato 52 milioni di perdite dopo i 177 milioni investiti l’anno scorso. «Credo che tutto proceda in linea con le aspettative», ha commentato Ghizzoni a proposito dell’integrazione della compagnia assicurativa con Unipol che potrebbe essere ritardata dalle indagini della Procura di Milano.
Il top manager non si è sbilanciato sul processo di selezione del nuovo presidente dopo il passo indietro di Dieter Rampl che comunque continuerà a rappresentare Piazza Cordusio in Mediobanca (si dimetterà invece dal cda Unicredit il 19 aprile assieme a Theo Waigel). «Stiamo seguendo un percorso molto rigoroso e stiamo procedendo a verifiche sui potenziali candidati», ha chiosato. I lavori del comitato governance e del vicepresidente Fabrizio Palenzona proseguono e si dovrebbe giungere a una soluzione prima di Pasqua e comunque prima della scadenza dei termini per la presentazione delle liste, il 16 aprile. Restano in corsa Gian Maria Gros-Pietro, Angelo Tantazzi, Domenico Siniscalco e l’ormai ex-Confindustria Emma Marcegaglia.
Ora si tratta di realizzare il piano industriale (attesi 3,8 miliardi di utile nel 2013). Anche il dg Roberto Nicastro ha confermato che il 2012 è partito bene.
Ventitré dei 26 miliardi raccolti tramite la Bce saranno impiegati in Italia per fare «buon credito» e si continuerà a fare ricorso al mercato cisto il buon successo dell’ultimo bond unsecured. Bonus? «Solo quando arriveranno i risultati».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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