Torniamo indietro di un anno. Il 6 aprile 2011 Diego Della Valle celebrava la sua vittoria più importante nellambito del «salotto buono» della finanza italiana: laver costretto alle dimissioni il presidente delle Generali, Cesare Geronzi. Lavversario contro il quale aveva intrapreso una guerra senza quartiere, coniando per lui e per Giovanni Bazoli (nella foto) la definizione di «arzilli vecchietti» (poi ritrattata per il presidente del Cds di Intesa), fu costretto al passo indietro. Sembrava che, a partire da Trieste, anche a Piazzetta Cuccia e a Via Solferino si dovesse suonare una nuova musica.
Il 6 aprile 2011 il quadro astrologico Cesare Geronzi era sfavorevole: un milieu politico remava contro uno dei punti di riferimento finanziari del centrodestra, il controllante di Generali (Mediobanca) soffriva gli eccessi di protagonismo del banchiere romano e Della Valle pensava di poter aprire una breccia per far «pesare» e anche accrescere il proprio 5,4% nelleditore del Corriere. In virtù del principio «mercatista» che linvestitore diretto debba influire nelle scelte della società partecipata. Gli eventi hanno preso un altro corso.
Le ambizioni di un ingresso nel cda di Mediobanca sono state frustrate alla fine dello scorso settembre. E Della Valle ha dovuto portare il suo 2% fuori dal patto di sindacato di Piazzetta Cuccia. La riconferma di Jonella Ligresti, pur nello stato periclitante di Premafin e Fonsai, aveva un valore simbolico: in quel consesso ci si siede con disciplina. Infatti più che le ovvie rimostranze dellIngegnere di Paternò poté il dissenso dei soci storici (Fiat inclusa), certo non ostacolati dal management.
Non è pertanto irrilevante che, a un anno di distanza, il casus belli con Geronzi - la cessione del 3,7% di Generali in Rcs - non sia stato affatto risolto e che Della Valle anche su quel fronte non ha ottenuto soddisfazione. Laccusa di «comportamento maldestro e pretestuoso» nei confronti di due dominus del patto, Pagliaro ed Elkann, non cambia la sostanza.
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