Economia

Wall Street torna porto sicuro per i grandi big della finanza

Da inizio agosto gli acquisti nella Borsa Usa cresciuti del 10%. Si punta sulle banche e sulle regine del Nasdaq

Wall Street torna porto sicuro per i grandi big della finanza

Di rado capitani coraggiosi, molto più spesso soldati di ventura al servizio del profitto, i grandi investitori non sfidano le turbolenze sui mercati finanziari internazionali e si rifugiano in un vecchio porto sicuro: Wall Street. Lì sono tornati a comprare a mani basse, nonostante da almeno tre mesi il protezionismo in salsa trumpiana sia in cima alla lista delle preoccupazioni di chi fa business. A rivelarlo è l'ultimo sondaggio mensile di Bank of America, condotto dal 3 al 9 agosto tra 243 investitori istituzionali. Gente che maneggia una massa patrimoniale per un totale di 735 miliardi di dollari, vale a dire più dell'intero Pil della Svizzera, e che quindi ha il potere di condizionare l'andamento di azioni, obbligazioni e materie prime. Dalle risposte fornite emerge che gli stanziamenti per le azioni statunitensi sono cresciuti nel periodo del 10%, al punto da creare un sovrappeso netto del 19%, il maggiore dal gennaio 2015. E così, per la prima volta in cinque anni, New York ha riconquistato lo scettro di prima Borsa mondiale.

Insomma, il listino a stelle e strisce visto di nuovo come il safe haven, il talismano capace di mettere i tanti soldi in gestione al riparo da potenziali guai portati, per esempio, dalla complicata gestione della Brexit. Oppure dalla prossima fine del quantitative easing della Bce. O dall'ancora più preoccupante situazione delle economie emergenti, di cui la crisi della Turchia rappresenta la parte dell'iceberg più emersa e di difficile risoluzione stante i tesissimi rapporti tra la Casa Bianca e il presidente Erdogan, che ieri ha minacciato di boicottare i prodotti elettronici Usa («Se hanno l'iPhone, c'è un Samsung dall'altra parte», ha detto). Ma a soffrire, oltre alla lira (che ieri ha però recuperato quasi il 6%, a 6,5 dollari) sono anche le monete di Sudafrica, Argentina, Messico, Brasile, Russia e Indonesia. A segnalare come il mercato valutario sia la spia di un'instabilità (alimentata anche dal risalire dei tassi Usa che vanno a impattare sui Paesi indebitati in dollari) che si manifesta con forza proprio nel momento in cui dalla Cina arrivano altri segnali di rallentamento economico sotto forma della minor crescita rispetto alle attese della produzione industriale, degli investimento in attività fisse e delle vendite al dettaglio. Una frenata al netto dei danni che potrebbero derivare dai dazi decisi dall'amministrazione Usa.

Secondo Bank of America, la rotazione di agosto nei portafogli dei big negli investimenti indica che le vendite hanno colpito i settori delle materie prime, l'energia e i titoli azionari del Regno Unito per concentrare gli acquisti soprattutto sulle banche americane, i cui margini sono destinati a crescere con l'irrigidimento della politica monetaria da parte della Fed e con l'ammorbidimento dei vincoli operativi in seguito alla revisione del Dodd-Frank Act, e sugli strumenti di liquidità denominati in dollari. Ma non solo. Sembra tutt'altro che tramontato l'amore per le cosiddette Faang-Bat (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google più le cinesi Baidu, Alibaba e Tencent), ovvero i titoli che più hanno concorso alla galoppata del Nasdaq culminata nel massimo storico raggiunto il 10 agosto scorso.

Resta però da vedere nei prossimi mesi quale sarà il comportamento dei grandi investitori istituzionali alla luce della situazione che si sarà creata sul fronte della guerra tariffaria che vede in prima linea Stati Uniti e Cina. La Fed ha ricordato, all'inizio della settimana, come i dazi punitivi non riusciranno a riequilibrare il disavanzo commerciale Usa, ma potranno anzi rivelarsi un boomerang perchè potrebbero ridurre sia le importazioni, sia le esportazioni.

Con un aumento dei costi per le società statunitensi che renderà i prodotti made in Usa meno competitivi.

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