Rodolfo Parietti
«I buyback sono decisi troppo spesso per una ragione non dichiarata e, secondo me, ignobile: gonfiare il prezzo delle azioni». La scomunica di Warren Buffet è scivolata come l'acqua sulla pietra: senza curarsene, i colossi di Wall Street hanno mantenuto, imperterrite, il vizietto di ricomprarsi i propri titoli. Con cifre che, nel primo trimestre, hanno sfiorato i picchi raggiunti nel 2007, cioè poco prima dello scoppio del virus dei mutui subprime e del crac di Lehman Brothers. Da Apple a General Electric, da McDonald's a Boeing, le too big to fail del listino Usa hanno orchestrato un gigantesco valzer di buyback per un controvalore totale di 142,5 miliardi di dollari (172 tra gennaio e marzo di nove anni fa), il 20% in più dell'ultimo quarto del 2015 e ben il 31% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
È evidente che in questa corsa a rimettere in portafoglio i titoli di casa ha giocato un ruolo anche il cambio di rotta deciso dalla Federal Reserve con il rialzo dei tassi in dicembre. Sull'ipotesi, ancora valida nel primo scorcio del 2016 di quattro strette spalmate nel corso dell'anno, le corporation Usa hanno pensato di stringere i tempi, in modo da indebitarsi a tassi ancora bassi per finanziare i buyback. Da qualche settimana le possibilità di un poker di aumenti del costo del denaro sono diventate nulle: non saranno più di due. C'è chi ventila una sola mossa da parte di Janet Yellen, anche se l'aumento dello 0,4% dell'inflazione in aprile e del 2,1% su base annua ha rinnovato le attese per un rialzo già il prossimo mese. Ieri, Dennis Lockhart, presidente della Fed di Atlanta, e John Williams, numero uno di quella di San Francisco, hanno fatto capire che un rialzo dei tassi a giugno non è da escludere. In realtà, il dato che la Fed utilizza per monitorare l'andamento dei prezzi è l'indice Pce (Price personal consumption expenditures index), che a marzo è salito su base annua dello 0,8% con la parte core salita dell'1,6%. Il target del 2%, dunque, non è centrato da circa quattro anni.
In ogni caso, il fenomeno dei buyback non sembra destinato ad arrestarsi. È ancora il miglior modo, low cost appunto, per tenere su il valore dei titoli, dare più che una limatina al flottante, mascherare fatturati col fiato corto e mettere lauti bonus nelle tasche del top management, in virtù delle brillanti performance borsistiche.
Un mercato volatile come quello attuale è tra l'altro una ghiotta occasione: il brusco calo dell'azionario di inizio anno ha consentito alle aziende di ricomprare più titoli, a parità di prezzo, con un valore medio delle azioni che nel primo trimestre è stato quasi del 5% più basso rispetto agli ultimi tre mesi del 2015.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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