Janet Yellen si congeda dalla Federal Reserve, dopo quattro anni di presidenza, lasciando i tassi invariati all'1,25-1,5%, il livello a cui furono portati il mese scorso con una stretta di 25 punti base. Nessuna sorpresa, e nessuna parola di commiato da parte della prima donna alla guida della banca centrale più potente al mondo. Non prevista ieri una conferenza stampa al termine del direttivo del Fomc, il riassunto di quanto dibattuto per due giorni dai governatori della Fed è stato affidato al solito, scarno comunicato in cui sono del tutto assenti rimandi all'ancora fresco - e roboante - «Discorso sull'Unione» pronunciato da Donald Trump, nè valutazioni sulla debolezza del dollaro.
Del resto, questa riunione non poteva che essere interlocutoria. Da sabato prossimo, infatti, comincerà ufficialmente l'era di Jerome Powell, la cui nomina è stata approvata ieri all'unanimità dal board. Nessuno si aspetta stravolgimenti nelle linee cardine della politica monetaria statunitense, destinate a restare entro i binari degli aggiustamenti graduali come peraltro ribadito dallo statement diffuso ieri sera in cui la banca centrale si aspetta che «le condizioni economiche evolveranno in modo tale da richiedere ulteriori rialzi graduali dei tassi». Per il 2018, come disse a dicembre, ne prevede tre. Non è da escludere che l'assunzione della carica di vertice da parte dell'uomo scelto da Trump coincida subito con un giro di vite di un quarto di punto nel prossimo vertice, in calendario il 21 marzo, quando la Fed diffonderà le nuove stime economiche e Powell avrà il suo «battesimo» con i giornalisti. I mercati accreditano alla stretta primaverile quasi il 90% di possibilità, pur cominciando a ragionare sull'ipotesi che i giri di vite al costo del denaro si riducano nel 2018 a due.
Così come per la Bce, infatti, sarà ancora l'inflazione il principale elemento in grado di condizionare l'azione dei banchieri centrali. L'andamento attuale, sulla base dell'indice Pce (Price consumer expenditure, il più monitorato dalla Fed), non è ancora del tutto soddisfacente (1,5% annuo) anche se la Fed è apparsa più ottimista rispetto a dicembre, quando aveva indicato che «l'inflazione è scesa quest'anno e sta viaggiando sotto il 2%». Ora, invece, «l'inflazione è vista salire quest'anno e stabilizzarsi intorno all'obiettivo del 2% nel medio termine».
Resta però da considerare la variabile-dollaro. Proprio l'istituto di Washington ha calcolato che, a fronte di un calo del 10% del biglietto verde, i prezzi aumentano di circa lo 0,50% nel giro di due trimestri. Il cambio di tono della Fed sull'inflazione ha favorito il rafforzamento del biglietto verde, scambiato attorno a quota 1,24 contro l'euro.
Un'azione sui tassi tardiva o eccessivamente morbida potrebbe esporre gli Usa al rischio di gonfiare ulteriormente la bolla speculativa di Wall Street, che durante l'era Yellen ha visto il settore finanziario guadagnare il 74% e l'S&P 500 salire di quasi il 60%.
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