Milano - «Sembra di essere in tempo di guerra, c’è la verdura razionata e i prezzi alle stelle: i finocchi devo metterli a 5 euro al chilo perché all’ingrosso si vendevano a quattro. La verdura a foglia larga non l’ho neppure comprata, mi hanno chiesto 4 euro per un chilo di erbetta e quasi tre euro per il radicchio». Il verduraio di un mercato di Milano mostra tante arance, mandarini e mele. Poca altra frutta e soprattutto pochissima verdura. Quella che è appena arrivata in città è stata acquistata a prezzi carissimi, soprattutto dai ristoranti, che devono pur sempre rimanere aperti. La massaia milanese, come quella romana o di ogni altra grande città italiana, ieri mattina ha invece speso almeno un trenta per cento in più nel fare la spesa. Prendere o lasciare. Meglio lasciare, per esempio, l’insalata: 10 euro al chilo. Prezzo insostenibile, così come quello dei carciofi: qualcuno tenta di venderne sei per otto euro, chissà chi può permetterseli.
Anche la catalogna, erba dei poveri, viene proposta a 3,80 euro. Scandalosi i fagiolini. Quelli italiani, pochissimi, superano i dieci euro (dodici al mercato di Campo dei Fiori a Roma), quelli egiziani e i marocchini sbarcati per via aerea oscillano tra i 5 e i 6 euro.
Lo sciopero selvaggio dei tir ha lasciato sul campo di battaglia tante, troppe vittime: famiglie e moltissimi pensionati che sempre più spesso si riducono a rovistare tra gli scarti di frutta e verdura lasciati a fine mercato dai rivenditori. In termini economici, le associazioni dei consumatori hanno calcolato una stima (per difetto): i danni provocati dal blocco sarebbero di un miliardo di euro al giorno, tutti a carico della collettività. Tre giorni di paralisi, tre miliardi di euro.
Ma tutto questo sembra già il passato.
Dopo le code ai supermercati vuoti, le file ai distributori senza più benzina, i timori per le scorte esaurite ieri, primo giorno di «normalità», si è scatenata la speculazione selvaggia. I pomodori «pachino» sono stati venduti a 5 euro al chilo, l’erbetta e l’insalata a peso d’oro. Anche pesce, carne e uova hanno subito un’impennata. Persino le lenticchie (non deperibili) sono rincarate del 20%. La situazione resta critica ma dovrebbe normalizzarsi nel giro di pochi giorni, quando la merce arriverà regolarmente a destinazione. C’è da augurarselo ma, come dice l’Adiconsum, «ogni protesta è buona per far lievitare i prezzi al consumo che poi non si abbassano più». Il suggerimento? «Comprate prodotti di stagione e nazionali» dicono alla Coldiretti.
Occhio al prezzo, alla qualità e alle speculazioni, dunque. Lo chiedono a gran voce anche le organizzazioni agricole e dei consumatori. Che invocano addirittura l’intervento dei Nas. Confagricoltura, dal canto suo, difende la categoria dei produttori. Parla di aumenti inevitabili. «Le aziende agricole – si legge in un comunicato - stanno facendo ogni sforzo per mantenerli nei limiti fisiologici». A calmierare i prezzi interviene, per fortuna, la grande distribuzione. «Non ci sarà alcun aumento sugli scaffali, i prezzi resteranno quelli che erano prima del blocco e tutto sta tornando alla normalità» assicurano alla Coop e all’Esselunga.
Lento rientro alla normalità anche per la produzione. Entro domani mattina i 9 stabilimenti della Barilla torneranno a regime. Più difficile la situazione per la Bauli: le consegne sono ripartite, ma la produzione riprenderà solo mercoledì.
I caseifici della Granarolo sono ritornati invece al lavoro ed è probabile che siano richiesti turni straordinari per recuperare la produzione persa. Puntuali le consegne del latte fresco al Nord e al Sud. E, nota positiva, sono sani e salvi i 30mila polli allevati a Foggia che rischiavano di morire per mancanza di mangime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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