Egitto, gli islamici in piazza Ora sfidano i vertici militari

Su piazza Tahrir, rumoroso cuore del Cairo, è calato un silenzio irreale durante la preghiera del venerdì islamico. Soltanto al termine sono tornati a sventolare striscioni e bandiere preparate per la manifestazione, la più grande da luglio, dominata dalla presenza di un altissimo numero di islamisti. Piazza Tahrir, luogo simbolo della Rivoluzione che a febbraio ha fatto cadere il raìs Hosni Mubarak, è tornata ieri a risuonare dello stesso minaccioso invito della folla: «Irhal», vattene. L’urlo è stato diretto al Consiglio Supremo dell’esercito, la leadership militare che aveva promesso di traghettare il Paese in pochi mesi alla democrazia, per poi ritirarsi nelle proprie caserme. I generali non hanno rispettato né i tempi né i modi.
«Non vogliamo un regime militare», ha gridato la piazza, ma anche «Allah è grande» e «L’islam è qui». Autobus pieni di sostenitori dei Fratelli musulmani - la forza politica più organizzata del Paese e favorita alle urne del 28 novembre - e di altri gruppi islamisti sono arrivati dai sobborghi del Cairo, dai governatorati rurali, dai villaggi del Delta. Sono gli islamisti, per prima la Fratellanza che nei giorni dopo la Rivoluzione sembrava aver trovato un’intesa con i militari, a opporsi oggi all’introduzione di principi costituzionali che secondo molti gruppi politici porrebbero i militari al di sopra di qualsiasi autorità civile, garantendo loro una morsa sulla politica nazionale.
A nove giorni dalle prime elezioni del dopo Mubarak, le fratture tra i partiti, una politica della leadership militare antica e le continue violenze preparano a giorni elettorali gravidi di tensione. C’è disaccordo tra le forze politiche attorno ai controversi principi costituzionali. Dopo la manifestazione sono circolate voci, smentite, su un ritiro del documento. Secondo un portavoce del governo sono in corso consultazioni su emendamenti.
Ieri, alcuni partiti laici di vecchia data e nuovi gruppi non sono scesi in piazza. Shadi Ghazali Harb, 32 anni, cofondatore di uno dei nuovi partiti liberali, ha spiegato al Giornale di non aver manifestato perché, benché in favore di una veloce transizione dei poteri, pensa che alcuni dei principi costituzionali proposti possano arginare l’influenza di una sola forza politica sulla stesura della Costituzione. Il timore dei laici è che un successo dei Fratelli musulmani e della loro visione religiosa possa marcare la Carta fondamentale e la società intera.
I partiti politici concordano su un punto: è tempo per l’esercito di tornare nelle caserme. I militari sono accusati di governare con i metodi dell’ex regime: tribunali militari, arresti arbitrari, tortura. E per alcuni hanno fatto anche peggio, dimostrando incapacità nel garantire la sicurezza. All’inizio di ottobre al Cairo, 26 persone sono morte in scontri tra soldati e manifestanti cristiani. A Damietta, nel Delta del Nilo, pochi giorni fa nuovi scontri tra militari e civili in protesta hanno risollevato le violenze, che hanno toccato anche la città di Assuan, nel Sud.
Il timore è che con il voto la situazione possa degenerare.

«I disaccordi tra le forze politiche aumentano le tensioni», dice Ghazali Harb, che accusa i militari di non essere stati all’altezza di governare. «Non hanno una strategia chiara. Se avremo uno Stato islamista, sarà per colpa dell'esercito».

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