Gian Micalessin
L'unico rischio per l'eterno Hosni Mubarak è l'assuefazione. Gli egiziani sono circa 75 milioni. Gli elettori chiamati domani a votare per le presidenziali sono solo 34 milioni. Più di metà del paese ha dunque meno di 18 anni. Gli altri, i votanti, hanno in maggior parte tra i venti e i trenta. La maggioranza degli elettori non ha, insomma, conosciuto altri presidenti al di fuori di Mubarak.
Nonostante i nove concorrenti messigli a far compagnia sulle schede elettorali il «faraone» 77enne, invecchiato sotto l'egida della legge d'emergenza da lui imposta 24 anni fa, ha ben poco da temere. Oggi c'è lui, domani ci sarà ancora lui. Per la quinta volta consecutiva. L'unica differenza sarà la forma. Non più un referendum su un solo nome, sempre il suo, prescelto dal Parlamento, ma una vera e propria elezione. Un'elezione in cui l'unico dato interessante saranno le percentuali della partecipazione. Sarà l'unica cartina di tornasole per capire se la vittoria di Mubarak sia un nuovo trionfo o una rallentata agonia. Le altre quattro volte Hosni Mubarak vinse i suoi referendum privati con il 99 e passa per cento. A regalargli quelle percentuali bulgare era appena il 10% degli elettori. Domani Mubarak deve far meglio. Lo sa e lo dichiara apertamente nel suo appello agli elettori. «Il Mubarak che vi parla questa sera - urlava domenica - cerca l'appoggio di tutti voi, ha bisogno di tutti voi per darvi maggiore libertà e democrazia, più lavoro e un'economia più forte».
Le stesse promesse dei suoi avversari. Le stesse parole per dimostrare di esser meglio di quei nove parvenu mandati ad infastidirlo. Certo, non fosse per la Casa Bianca, non fosse per il segretario di Stato Condoleezza Rice e per la loro testarda fede nella democrazia, di quei nove nomi non se ne conoscerebbe uno solo. Forse solo quello del 41enne avvocato Ayman Nour, ma sarebbe in prigione. A febbraio l'insolente scocciatore che per tutta la campagna elettorale l'ha tormentato accusandolo d'aver oppresso popolo e Paese, era proprio lì, nel buio d'una segreta. A tirarlo fuori furono le scenate di Condoleezza che a colpi di rimbrotti e visite cancellate costrinse anche il recalcitrante Mubarak a dar vita ad un abbozzo di democrazia. E ora l'ingrato avvocato fondatore di Al Ghad, il partito del «domani», ripete che se queste elezioni non fossero truccate il vero vincitore sarebbe lui. Così la polemica sui brogli possibili e immaginabili diventa il tormentone della vigilia. Ad infuocarla contribuisce lo scontro tra magistrati incaricati di vigilare sulle operazioni di voto. Dopo il «no» agli osservatori stranieri la maggioranza dei giudici ha votato per aprire i seggi ai volontari delle associazioni non governative. La commissione elettorale, allineata con il «rais», ha risposto picche, ma molti giudici ribelli minacciano, comunque, di farsi affiancare da esterni.
Neppure quest'incognita dell'ultima ora offre soverchie speranze agli sfidanti. L'incontenibile avvocato Nour rischia persino di finire terzo dietro Noaman Gomaa, un 71enne oscuro professore di legge conosciuto, fino a ieri, solo dai militanti di quel partito Al Wafd di cui è segretario. Il suo colpo di genio è aver rubato l'espressione «kifaya» («ne abbiamo abbastanza») ai milioni di dimostranti, in gran parte islamisti o neo nasseristi, protagonisti lo scorso inverno di decine di dimostrazioni anti regime. Domani non vi sarà posto per nessuno di loro. Né i neonasseristi, né i fratelli musulmani in grado, si dice, di controllare più del 25% dell'elettorato, hanno potuto presentare un candidato.
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