Wilfrid Martens, presidente del Partito popolare europeo, ha liquidato la possibile entrata di An nel Ppe a margine della presentazione di un suo libro, a Roma. Forse era l'unica possibilità che aveva perché oggi si parlasse del suo libro, ma di certo il modo è stato offensivo. Volutamente offensivo, si direbbe, vista la durezza della dichiarazione con la quale ha «escluso» l'adesione del partito di Gianfranco Fini: «È impossibile per noi», ha dichiarato, se prima non si formerà in Italia «un nuovo partito di centro» che comprenda anche An.
La prima considerazione da farsi riguarda la progressiva, implacabile, sfacciata invadenza dell'Europa nella vita - anche politica - delle nazioni che la compongono. Già la stragrande maggioranza delle leggi approvate dai Parlamenti nazionali nascono su «indicazioni» europee; già le finanziarie devono essere calibrate sulle volontà dell'Ue, un tempo dette «parametri». Ora è sempre più evidente l'intromissione dei «partiti europei» nelle scelte politiche dei partiti nazionali. Certo, se An desidera entrare nel Ppe, il Ppe ha tutto il diritto di dettare le sue condizioni. Però Martens è andato ben oltre, pretendendo che in Italia nasca un nuovo, grande partito di centro: fregandosene dunque del fatto che gli italiani hanno scelto un sistema bipolare, il quale fra l'altro deve ancora essere affinato e sostenuto. Non è evidentemente questo il desiderio dei popolari europei, fautori del ritorno in Italia di un centro democristiano capace di decidere di volta in volta se allearsi con la destra o con la sinistra, se non di governare in proprio.
Logicamente sia Buttiglione (per l'Udc) sia Mastella (per l'Udeur) hanno plaudito alle dichiarazioni di Martens. Benché siano schierati l'uno all'opposizione e l'altro al governo, è chiaro a tutti che il loro scopo finale è proprio ricostituire quel centro democristiano, egemonico e ego-centrico di cui ci siamo liberati da poco e con fatica. È meno chiara la situazione di Forza Italia, che pur facendo parte del Ppe continua a sostenere - salvo sporadiche tentazioni di «grande coalizione» - la necessità del sistema bipolare.
Nebulose appaiono, soprattutto, la posizione e la possibile evoluzione di An. «Abbiamo capito che non sono più fascisti, ma ci dicano che cosa sono», ha chiosato Buttiglione con l'evidente desiderio di far morire democristiani gli ex missini. An rinuncerà a essere un partito di destra, o almeno di centrodestra, per confluire nel grande centro europeo e italiano? Le conviene? E come farà? Rinunciando - con un'ipotesi di scissione già parecchio avanzata - alla componente della Destra sociale di Storace? Sarebbe un paradosso, perché per molti versi - statalismo, assistenzialismo, difesa dei valori cattolici - la Destra sociale è più democristiana di quanto lo sia l'intera Alleanza nazionale; né può essere considerata di «estrema destra» per il suo conservatorismo, come invece sembra ipotizzare Martens.
Insomma, An rischia di perdere la propria identità, prima ancora che di dividersi, per entrare in un Partito popolare europeo che intanto condiziona, poi finirà per annullare la sua stessa natura e la sua individualità: per farne una indecifrabile pappa con i popolari polacchi e magari presto - diononvoglia - con quelli turchi.
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