C entotrenta lettere, in tedesco, per «relativizzare» (in modo molto ristretto, in verità) limmagine consolidata di un Einstein estroverso e pacifista, sereno e disponibile. Lidea, cioè, del genio della fisica che ha riempito e riempie le stanze di studenti di tutto il mondo. Ora invece cè un ampio epistolario che presenta uno scienziato più a misura duomo, preda dellegoismo e del rancore, irritabile e diffidente, chiuso e scontroso. A custodire per quasi un secolo questa immagine è stata la sua figliastra Margot. È stata lei a conservare per tanti anni le lettere. Con lobbligo però che venissero rese pubbliche - dall'università di Princeton e dal Caltech (il Politecnico della California) - almeno ventanni dopo la sua morte (avvenuta nel luglio 1986).
Ed ecco dunque un inedito Einstein alla vigilia della formulazione della teoria della Relatività generale, levento che lavrebbe consegnato alla storia della fisica e non solo. Siamo a Berlino, nel 1915. Albert è in preda a malumori e frustrazioni, come emerge dalle lettere ad amici e parenti scritte tra la primavera e lestate di quellanno. Alle spalle ha mesi di duro, continuo lavoro, che certamente influiscono anche nelle relazioni interpersonali. A leggere quelle lettere ci si trova di fronte un uomo come tanti, in bolletta, con laggravante dei figli a distanza. Da mantenere e verso i quali sembra poter manifestare affetto e attaccamento paterno solo a tratti. Non è escluso che tanta tensione fosse legata alla sensazione di sentirsi sulla soglia di una scoperta fondamentale, ma da quelle missive si ha limpressione che, al pari delle formule, a togliergli il sonno fosse anche lidea che altri colleghi scienziati e studiosi fossero in agguato, pronti a rivelare la «verità» al mondo un attimo prima di lui.
Basta vedere con quale astio rispose al matematico David Hilbert che lo informava daver probabilmente trovato «una soluzione al grande problema». «Il sistema che suggerisci - gli scrive - da quello che posso vedere corrisponde a quanto io ho scoperto già qualche settimana fa». Ma i passaggi più significativi di quella crisi sono nelle lettere inviate a uno dei due figli, Hans Albert che diventava «Abu» solo nei rari momenti affettivi.
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