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Eja eja Camilleri: «Quando c’era Lui si stava meglio»

Andrea Camilleri è nato nel 1925, un anno dopo l’assassinio Matteotti. Aveva 13 anni quando furono varate le leggi razziali, 15 quando Mussolini trascinò l’Italia in una guerra a fianco dei nazisti, era già maggiorenne quando il Paese precipitò nella guerra civile, e ne aveva venti quando la tragedia fascista si compì.
Camilleri il Ventennio lo conosce bene perché ci visse dentro, non per racconti raccontati. Cosa, questa, che rende ancora più inquietanti le dichiarazioni rilasciate ieri al festival di Roma davanti a una platea di ragazzini. Ai quali, sfruttando l’autorevolezza il fascino dello scrittore di successo, ha impartito la più pericolosa e stupida delle lezioni: commentando le scene di alcuni film legati alla sua giovinezza, girati sotto il fascismo, ha detto: «All’epoca ero molto più libero di voi oggi. L’unica cosa che posso dirvi è di farvi condizionare il meno possibile da una società che finge di darti un massimo di libertà e che in realtà ti sottopone a un massimo di condizionamenti». Aggiungendo: «Potrà sembrare un paradosso ma ai miei tempi, sotto il fascismo, si era molto più liberi di oggi».
Cattivo maestro travestito da buon nonno di famiglia, Camilleri con una sola frase - errata dal punto di vista storico, cretina da quello logico e inaccettabile da quello morale - ha distrutto mezzo secolo di leggenda antifascista pur di criticare, fuori contesto peraltro, l’illiberale Italia berlusconiana.
Violentando la propria intelligenza e l’altrui ingenuità, come già in passato Alberto Asor Rosa quando si disse «incline a pensare» che Berlusconi sia peggio del fascismo, Camilleri con una simile uscita, ridicola nel suo incarognito antiberlusconismo ossessivo-compulsivo, dimostra così di essere (delle due l’una): o fascista - se davvero preferisce l’Italia littoria a quella attuale - o stupido - se antepone l’odio ideologico alla coscienza storica che pure siamo certi possiede.
Lo ha già detto, anni fa, il suo politico di riferimento, Gianfranco Fini, quando in Israele proclamò che «il fascismo è il Male assoluto». Sminuirlo, adesso, rispetto a qualcosa d’altro - fosse pure Berlusconi - significa rimettere in discussione un giudizio storico ormai riconosciuto da tutte le parti politiche.
Camilleri è una star intellettuale che scrive su giornali e riviste, pubblica per due case editrici (delle quali una incidentalmente proprio del tiranno contro il quale si scaglia), è ospitato in qualsiasi trasmissione e invitato a tutti i festival. Ha un’età veneranda e una popolarità indiscussa. Noi dobbiamo rispetto alla sua persona e alla sua opera. Lui lo deve ai suoi lettori e al suo pubblico.


Far credere ai nostri ragazzi che l’Italia della dittatura del Duce, dell’Ovra, delle leggi razziali, dell’alleanza con Hitler e della guerra fosse un’Italia più libera dell’attuale, è mostruoso. Non solo perché distorce la verità e la storia, ma perché alimenta l’odio e l’ignoranza.
Per quello che ha detto, Camilleri può solo fare un gesto di scuse. Oppure, per coerenza, il saluto romano.

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