L’altra sera, a cena coi suoi sul lungomare di Chiavari, Umberto Bossi parlava di acciughe. «Ormai arrivano dall’Africa, con Zaia dobbiamo fare una grande operazione per mettere l’etichetta made in Italy su tutti i nostri prodotti». Perché, annota chi c’era, è inutile spaccarsi la testa ora sulle regionali. Quello che aveva da dire, Bossi l’ha detto dai palchi dei suoi comizi e ai microfoni dei giornalisti negli ultimi giorni, prima di ripeterlo a Silvio Berlusconi ieri sera ad Arcore: la Lega rivendica la presidenza di almeno due grandi Regioni del Nord, e nelle altre vuole la vicepresidenza.
Ed è proprio su «ticket» stabiliti prima del voto che Pdl e Lega cercheranno l’intesa al Nord. Non subito, ha detto il premier ieri prima della cena col Senatùr, anzi solo a ottobre: «Con Bossi sono in contatto praticamente ogni giorno, ma devo fare prima una riunione con i dirigenti del Pdl per decidere la strategia. Per questo oggi non ci saranno risposte alle richieste della Lega. Stiamo cercando le persone migliori da mettere in campo e ci siamo presi tutto settembre». La road map per il momento prevede un incontro con i coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini la settimana prossima.
Il puzzle non è semplice da comporre. Anche perché il Pdl deve intersecare le rivendicazioni leghiste con la riapertura di un canale di dialogo con l’Udc. Ieri sera tutto è ruotato attorno all’apertura del Senatùr: «Non c’è solo la Lombardia». Il Carroccio potrebbe accontentarsi del ticket Formigoni-Castelli, con un’operazione simile a quella che si profila in Liguria, con Sandro Biasotti alla presidenza e il segretario regionale Francesco Bruzzone vice. Non a caso ieri il governatore della Lombardia, supportato dal ministro Mariastella Gelmini, si autodefiniva «solido, certo e garantito» in relazione alla propria candidatura. Resta aperto però il nodo più difficile, quello del Veneto. La Lega, forte dei risultati delle ultime tornate elettorali, ne rivendica la guida, ma il Pdl non è disposto a cedere la poltrona del «doge» Giancarlo Galan. Per dirla con La Russa: «La Lega? Domandare è lecito, rispondere è cortesia: ma non è obbligatorio rispondere sì». Quasi scontata invece la corsa leghista in Piemonte. «L’ultima parola spetta a papà Bossi - spiegava l’altro giorno Roberto Calderoli alla festa torinese del Carroccio -, ma secondo me qui in Piemonte vi andrà bene, perché avrete il miglior candidato possibile, Roberto Cota». Lui, capogruppo alla Camera, la campagna elettorale in effetti l’aveva già iniziata il giorno prima, «Cota lancia la corsa in Piemonte» titolava la Padania a tutta pagina, e ieri a Red Tv annunciava: «Se Bossi mi chiamerà io sarò un suo soldato, come sempre». E se non è un caso che ieri Cota abbia partecipato al vertice di Arcore, presenti anche Calderoli, Tremonti, il Piemonte non basta, avvertono in via Bellerio. L’ultimo sondaggio di Ipr Marketing, commissionati dal Pd, danno il centrodestra in vantaggio, 46,5 per cento contro il 42,5, ma dicono anche che Mercedes Bresso, presidente uscente e ricandidata del Pd, potrebbe fare la differenza, con un 60% di «fiducia» personale. «In Piemonte non abbiamo la certezza di vincere, in Veneto sì», è il commento lapidario del Carroccio. Tutto, comunque, dovrà tenere conto degli equilibri nazionali. Sul tavolo delle trattative c’è anche un’Emilia sempre meno rossa e sempre più verde padano. E la partita è aperta anche al Sud, dove il Pdl ha l’esigenza di contrastare le spinte «meridionaliste». Per il momento, l’unico tassello che potrebbe andare a posto a breve è quello del Lazio, dove, dopo aver incontrato il premier, l’imprenditrice edile Luisa Todini potrebbe correre per succedere a Piero Marrazzo.
E poi c’è il capitolo Udc.
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