Sono tragedie. Ma nel bel mezzo affiora il ghigno beffardo della commedia, un po’ Molière e un po’ Ionesco. Anche se nella fattispecie, i morti essendo veri, il riso finisce per essere un po’ amaro; e il farsesco, dopo un altro po’, vira nel dramma.
Vedrà il lettore che il canovaccio, fino a un certo punto, è piuttosto scontato. C’è il finto incidente di caccia, con un morto. E qui siamo nel classico. C’è un uomo, legato da amicizia e dalla comune passione venatoria al defunto, che si toglie la vita, anche lui con una fucilata. E qui siamo nel giallo. Poi c’è lei, la moglie del primo morto, che finisce con le manette ai polsi con l’accusa di aver istigato quello che non un incidente di caccia era, ma un omicidio premeditato. E qui, volendo, siamo di nuovo nel classico. È quando si scopre che il morto suicida era l’aspirante amante della donna (aspirante nel senso che lei gliela aveva fatta intravedere, negandogliela a servizio ottenuto, come ora raccontano con dissacrante e molto toscana ribalderia nei bar di Pontremoli) che la commedia degli equivoci vira nella tragedia shakespeariana.
Ma la sciarada dura lo spazio di poche righe.
Tutto comincia il 17 novembre, quando nei boschi di Pallerone, vicino ad Aulla (La Spezia) viene trovato morto, con un fucilata nel petto, tale Maurizio Cioni, quarantanovenne magazziniere di Follo, altro comune spezzino. Si disse: incidente di caccia. Forse un bracconiere, chissà. L’altro ieri, domenica, ad Arcola, lì vicino, si uccide con una fucilata nel petto Giordano Trenti, 50 anni, impiegato, moglie e due figli, amico e sodale del Cioni. Addosso, i carabinieri gli trovano un biglietto che avrebbe insospettito anche chi carabiniere non è. C’è scritto: «Io non so chi abbia ucciso Maurizio, ma questa cosa non riesco a sopportarla». Si va dalla moglie del primo morto, a questo punto. Clara Maneschi, così si chiama, resiste sei ore sotto il fuoco di fila di domande degli investigatori. Poi crolla. E racconta.
Racconta che con il marito Maurizio (padre di due figli avuti dalla prima moglie) il rapporto si era ultimamente deteriorato. Le aveva anche prese, in qualche occasione, lei; e di questo (e del malandare in famiglia, ormai insanabile) Clara si era confidata con l’amico di famiglia Giordano Trenti. Il quale essendosi nel frattempo innamorato della donna le promise che avrebbe pensato lui a sistemare la faccenda una volta per tutte. Se poi questa promessa sia venuta in cambio di un’altra promessa, o addirittura di un congruo anticipo del genere al quale state pensando (come giurano sempre nei bar di Pontremoli) non sappiamo. Sappiamo solo che il 16 novembre Clara chiama il Trenti per dirgli che il marito l’indomani sarebbe andato a caccia da solo. La vigilia i due uomini si incontrano a Vezzano Ligure, in un ricovero per cani dove la vittima teneva i suoi segugi. E il 18 scatta l’agguato nel bosco. Un colpo solo. Pallettoni da cinghiale. «Tutto apposto. Ti ho resa felice», le dice il Trenti al telefono.
Poi il rimorso, la sindrome di Raskolnikov, i pensieri devastati da un senso di colpa intollerabile. Rimorso impiombato, e reso infine insostenibile, anche dall’atteggiamento di donna Clara, che quando il Trenti le si presenta davanti, convinto di incassare il pattuito, lei lo guarda con freddezza, e all’ingrosso gli dice: «Scusa, ma a te chi ti conosce?». Ai carabinieri la donna confida: «Speravo che dopo averlo ucciso si costituisse».
Sono tragedie. Perché qui non c’è solo il rimorso per essersi lordato le mani del sangue di un amico (sempre che la storia risulti infine confermata. E i protagonisti che dicano il come e il perché non ci son più).
Qui c’è anche la rabbia, il disdoro, la bruciante vergogna per essere stato gabbato come un grullo da una mantide di cui l’uomo non aveva neppure intravisto l’algida doppiezza. Difficile, in casi come questi, alzarsi volentieri al mattino. Nello specchio, uno vede solo un tipo a cui vien voglia di sparare un colpo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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