da Lecco
L'ora della morte di Eluana sta per arrivare al giorno numero 6.113. Sedici anni, 8 mesi e 23 giorni dopo l'incidente che l'ha ridotta in stato vegetativo permanente. Il padre tiene il conto dal 12 gennaio 1992. E questo è il giorno che aspetta per liberarsi dall'incubo di vedere una figlia purosangue della libertà intrappolata in una non vita. Il giorno della morte. «Venga che sua figlia è grave. Ci sono alcune decisioni importanti da prendere». Dalla casa di cura beato Luigi Talamoni di Lecco, alle 10 del mattino, parte la telefonata che ogni padre teme e che invece Beppino Englaro aspetta. La notizia è improvvisa. La sorpresa è grande. Fino a ieri si è parlato di sospendere la nutrizione e l'idratazione. Non c'era alcun modo diverso per far morire Eluana che quello di sospenderle le cure. Ora all'improvviso sembra invece che Eluana stia per morire da sola.
La donna simbolo della libertà di vivere o morire sembra abbia deciso di levare il disturbo e anzi di far valere il suo diritto, la sua libertà, contro tutti. Eluana sta per andarsene lasciando in sospeso le risposte giuridiche, filosofiche, religiose che il suo caso ha innescato. Emorragia uterina. Una perdita tanto copiosa che Eluana è in forte stato anemico. Sono due giorni che va avanti così. Se succedesse a una donna normale bisognerebbe provvedere a una trasfusione. Questo dicono i medici a Englaro. E per la prima volta padre e medici stanno dalla stessa parte. «Anche le trasfusioni no. Questo sì che sarebbe accanimento terapeutico». Non ha più senso, non a questo punto con una sentenza che autorizza a farla morire, cercare di non farla morire. Sarebbe una tortura tenere in vita oltre una donna che ora ha 36 anni ma che di fatto ha smesso di ridere, parlare, vedere, sentire, camminare, amare, piangere da quando ha 20 anni. Una donna che sarebbe impazzita se, prima dell'incidente, le avessero detto che tutto il mondo un giorno si sarebbe trovato a parlare delle sue mestruazioni. Eppure il destino ha in serbo anche questo colpo per Eluana e per suo padre. Eluana sta per morire perché perde troppo sangue. Englaro e i medici sono d'accordo sul fatto che quel sangue non vada fermato. Sono le dieci del mattino. La notizia si sparge nel pomeriggio e fuori dalla casa di cura arrivano le televisioni per la diretta della morte. Il professor Carlo Alberto Defanti è il neurologo emerito, ovvero in pensione, del Niguarda che si è offerto di seguire il decorso di Eluana nel giorno in cui si sarebbe dato seguito alla sentenza di interrompere idratazione e nutrizione. I piani ora sono cambiati e lui, che è a Parma, accorre a Lecco. Sono le quattro del pomeriggio. E le televisioni anziché trasmettere la diretta della morte devono dar conto dell'arresto dell'emorragia. Il sangue si è fermato. Non morirà neppure ora.
Si ricomincia tutto daccapo. Con sentenze, ricorsi e luminari che si rincorrono su posizioni diverse. Lo strazio di Beppino Englaro è senza fine. Alle sette di sera lascia di nuovo il capezzale della figlia. Pure Defanti se ne va. «Eluana aveva un'emorragia molto copiosa da due giorni - riassume il professore -. I medici della clinica avevano deciso con il padre di non procedere alle trasfusioni. Io sono arrivato per assisterla nelle ultime ore. Sembrava davvero il momento. L'emorragia, invece, si è arrestata da sola. A volte succede anche questo. E quindi l'organismo di Eluana ha ripreso a produrre globuli rossi».
La morte è rinviata. Di quanto non si sa. In medicina non si può mai sapere. I medici lo hanno spiegato a Englaro che ormai ha perso anche quel briciolo di serenità che la sentenza a favore gli aveva dato. È come una tortura.
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