Cultura e Spettacoli

Elvira Sellerio, la zarina siciliana che ha inventato Bufalino e Camilleri

Era da un po’ che non andava alle riunioni della casa editrice, colpa della lunga malattia che la debilitava. Ma poi, a cose fatte, i collaboratori dovevano comunque andare a prendere il caffè da lei, che abitava a pochi passi dalla sua Sellerio, in via Siracusa 50, a Palermo. E lì, con la tazzina in mano, dovevano raccontarle tutto.
Perché lei, Elvira Giorgianni in Sellerio (morta ieri a 74 anni), è stata sino all’ultimo se stessa, una zarina mediterranea, la donna che è stata capace di riportare l’editoria, quella vera, in Sicilia, operazione paragonabile a far crescere fichi secchi in piazza Duomo, a Milano. E quando Elvira Sellerio stava bene era uno spettacolo tutto palermitano vederle raggiungere il suo ufficio, piazzato in fondo al corridoio che divide in due la casa editrice, una bomboniera con sedie liberty e troppi quadri. Ogni volta il suo arrivo, soprattutto se a sorpresa (come quando rientrava all’improvviso dalla Villa di Siracusa) creava agitazione. «È arrivata la signora, è arrivata la signora...», e tutti si affacciavano, ossequiavano, mentre i convocati la seguivano con una certa trepidazione.
Di fronte alla sua scrivania ingombra di carte e di infiniti manoscritti i dipendenti ascoltavano in piedi, poi, rapidi, andavano. In pochi invece avevano il diritto di far scricchiolare le belle seggiole; di restare lì a discutere con lei mentre la signora inarcava le sue sopracciglia un po’ severe, i cui movimenti, ai tempi della gioventù, avevano fatto sobbalzare più di un cuore della Palermo chic; di passare ore a vederle annichilire una sigaretta dopo l’altra e di essere poi invitati a cena (era brava ai fornelli quanto con i libri). Il primo consigliori fu Leonardo Sciascia, e poi tutti gli altri intellettuali che hanno dato un’impronta alla casa editrice senza che però Elvira lasciasse mai scalfire le sue modalità operative, giuste o sbagliate che fossero: Antonino Buttitta, Luciano Canfora, Beppe Benvenuto, Salvatore S. Nigro, Andrea Camilleri.
Sono questi nomi a dar conto della magia della bottega editoriale che Elvira ed Enzo Sellerio fondarono nel 1969 sotto l’ala protettrice di Sciascia. E della bottega la casa editrice, con la sua grafica curatissima, ha mantenuto le caratteristiche anche quando sono arrivati i titoli in grado di macinare copie a cinque zeri (il primo fu L’affaire Moro, proprio di Sciascia, che vendette più di 100mila copie). E dire che i due coniugi non avevano alcuna esperienza editoriale. Elvira, figlia di un prefetto e laureata in giurisprudenza, aveva lavorato per anni all’Eras (Ente per la Riforma agraria in Sicilia) e investì la sua liquidazione nell’impresa. Il marito, fotografo affermato, ci mise il suo gusto per l’immagine e tanto bastò. Il resto della storia è noto: il successo di Bufalino con Diceria dell’untore (premio Campiello 1981), le vendite trionfali di Camilleri, di Carofiglio, la riscoperta anche di autori stranieri come Margaret Doody, gli incarichi prestigiosi in Rai.
Ma il piglio di Madame Sellerio, che fu capace di conciliare l’alta cultura con la gestione del fan club di Camilleri (chiamato «il sommo» dai suoi fan) non lo rivelano tanto i grandi successi editoriali, quanto alcuni piccoli dettagli. Ecco a esempio il ricordo di Salvatore S. Nigro che ha lavorato con lei per anni: «Non ha mai fatto distinzione tra la vita e la letteratura, viveva con e per i suoi autori, leggeva tutto quello che pubblicava, non lo fa più nessuno». O quello di Pietrangelo Buttafuoco che prima di essere giornalista e scrittore è stato libraio «di frontiera»: «Nei primi anni Ottanta io avevo l’unica libreria della provincia di Enna. Stava a Leonforte e si chiamava “Libreria del mastro”. Già era difficile, poi per le mie posizioni politiche mi avevano costruito un muro attorno, una cortina, nessuno nel mondo dei libri voleva avere a che fare con me. Elvira Sellerio mi riempiva di libri in conto vendita, senza che dovessi anticiparle nulla.

Me la sono cavata grazie a lei e a Sandro Attanasio di Einaudi».

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