Emigranti che tornano: ecco «La turnàta»

Laura Novelli

Racconti di partenze, abbandoni, sacrifici. Racconti di emigranti lontani dalla loro terra, vedove bianche svuotate d’amore, ritorni a volte felici, a volte impossibili, a volte più dolorosi degli stessi addii. Da questi racconti autobiografici hanno preso le mosse Nicola Bonazzi e Mario Perrotta (anche regista e interprete) per elaborare un progetto sull’emigrazione italiana in nord Europa che, due anni fa, ha portato allo spettacolo «Italiani cìngali. Minatori in Belgio» che, forte delle sue 150 repliche in Italia e all’estero, ha ottenuto un successo clamoroso. Adesso, quella storia di lacerazioni e durezze ci consegna un nuovo allestimento che, firmato dai medesimi autori e intitolato «La turnàta», debutta questa sera al teatro dell’Orologio (sala Gassman). In scena c’è solo Perrotta: attore/affabulatore che cuce insieme vita vissuta e immaginata, speranze e rimpianti al fine di aiutarci a comprendere una delle pagine più tristi della nostra Storia recente. Ma qui non si parte: si torna. Si torna dalla Svizzera, dai «favolosi» anni ’60, da pregiudizi razziali e umiliazioni a 1500 chilometri da casa. «Se sei emigrante - recita Perrotta - la prima cosa che devi sapere è che nna enùta (una venuta) è solo una enùta, mentre la turnàta è per sempre». Non è facile dire chi sia vincitore e chi vinto: se sia più decoroso restare o tornare. Certo è che una tùrnata è sempre un’avventura, «soprattutto se non hai un camion, armadio, letti, corredo... soprattutto se la tùrnata la fai non perché ti sei sistemato ma perché gli svizzeri ti hanno fottuto!».


Affonda le sue radici in una vicenda di toccante umanità pure lo spettacolo atteso alla Sala Artaud dello stesso spazio di via de’ Filippini per giovedì sera, «Caminito» di Riccardo Reim: favola metropolitana sospesa tra toni drammatici e fiducioso epilogo, affidata all’interpretazione di Manuele Morgese.

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