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Emma, la Lady d’acciaio che ha sfatato un tabù

È la prima donna al timone degli industriali. Carattere deciso, ama la globalizzazione e dirige il gruppo siderurgico fondato dal padre Steno

da Milano

Da quelle parti, giù nella bassa padana, dicono: «Noi mantovani non abbiamo la testa finita». Colpa forse di quel sole a picco e di quei nebbioni feroci alla Simenon, se loro sono imprevedibili e sanguigni, amando le traiettorie dettate dall’impulso, più che dal calcolo. Emma Marcegaglia è una mantovana sui generis: niente bizze, né colpi di testa, che poco o nulla hanno da spartire con la poltrona presidenziale di viale dell’Astronomia. Soprattutto se si è la prima donna alla guida degli industriali italiani, con l’aggravante di un’età - classe 1965 - ancor giovane per ricoprire tale ruolo. Non a caso, l’Economist l’ha già messa in guardia: «La sua fermezza sarà testata dai molti uomini d’affari italiani che continuano a invocare una maggiore protezione dalla concorrenza straniera».
Per lei che confessa un’autentica «ossessione per la crescita» economica non sarà facile, in un periodo di espansione declinante, di euro ruggente e di alti costi energetici, tali da farle condannare, già qualche anno fa, la scelta anti nucleare. «Non possiamo essere l'unico Paese al mondo che produce tutto a gas, tutta l'energia elettrica a gas. Dobbiamo tornare a parlare anche di carbone pulito e di nucleare».
Linguaggio chiaro, diretto, senza troppe concessioni alle perifrasi, come si conviene a un Capricorno. E comportamenti in linea con lo stile di comunicazione. L’hanno soprannominata la Lady d’acciaio, quindi Black&Decker, tanto per inquadrare il tipo. Una bella donna dotata di un’intelligenza vivace. In tailleur da dura. Fin dai primi passi in impresa, quella siderurgica del padre Steno, che le affida la guida del gruppo non appena conseguita la laurea in economia aziendale alla Bocconi. Poi, poco più che trentenne, inizia a tastare il terreno confindustriale diventando presidente dei Giovani. Rompe un tabù consolidato (prima di allora, mai una gonna al vertice), e si misura con la politica, che richiede anche capacità di compromesso, di mediazione e l’arte di dribblare le trappole. Non sempre le riesce. A quei tempi, il numero uno di Confindustria è il napoletano Antonio D’Amato. Emma, in qualità di presidente dei giovani, ne è il suo vice. Il rapporto tra i due non funziona: i conflitti esplodono, fino a portare la Marcegaglia, qualche anno dopo, alle dimissioni.
Con l’arrivo di Luca Cordero di Montezemolo al timone confindustriale, la Lady d’acciaio torna a viale dell’Astronomia, dove le viene affidata la vicepresidenza con delega all’Energia e coordinamento delle politiche industriali e ambientali. Si tratta di problemi delicati. Che affronta di petto. La riforma del codice ambientale che il ministro Alfonso Pecoraro Scanio presenta nel 2006 viene bocciata senza appello: «Con questo provvedimento - tuona - si fa un salto indietro di 15 anni e si torna a una situazione dove, in presenza di norme generiche e imprecise, la gestione dei rifiuti è affidata all’interpretazione discrezionale dei magistrati, con gravi distorsioni di mercato».
Maggiore tatto servirà ora per evitare quelle lacerazioni all’interno dell’associazione che Montezemolo ha pazientemente ricucito negli ultimi anni, con un lavoro di tessitura teso a ricompattare il corpo industriale, privandolo di divisioni territoriali. Il plebiscito arrivato ieri dalla giunta a favore di Emma («peggio di un dittatore», ha scherzato Vittorio Merloni, il primo a proporla la scorsa estate al vertice di Confindustria), è frutto di quel lavoro, ma la maggioranza bulgara espressa dal voto non è una cambiale in bianco.
Su temi quali l’internazionalizzazione e la globalizzazione la Marcegaglia dovrà forzatamente misurarsi con quanti considerano le barriere protezionistiche e l’assistenza della mano pubblica le uniche armi di difesa. Dai primi pronunciamenti, Emma pare disposta al dialogo: «Saprò farmi l’interprete di quegli imprenditori del Nord che hanno manifestato la loro preoccupazione. Li capisco, sono una di loro», ha confidato a Le Monde. Altrettanto sembra voler fare nei confronti dei sindacati, con cui si troverà ad affrontare i nodi legati alla riforme del modello contrattuale, anche se poi tira fuori le unghie ricordando che «non possono bloccare eternamente le forti innovazioni di cui il Paese ha crudelmente bisogno in materia di produttività e di mercato di lavoro».


Ma sono soprattutto le donne che guardano alla nomina della Marcegaglia come all’inizio di un nuovo corso, in cui viene finalmente superata la «questione femminile». Senza per questo abdicare al ruolo di madre: anche ora che ha conquistato gli uomini di Confindustria, la figlia Gaia resta «la cosa più importante».

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