da Milano
L’atomo? Ancora una volta esplode un tabù: «Sì grazie». L’ultimo sondaggio, effettuato per il Giornale dalla Ferrari Nasi & Grisantelli, conferma il trend: l’energia nucleare non è più il «mostro», anzi. La stragrande maggioranza degli italiani, ben sei su dieci, chiede che ci si rimetta in moto per sfruttare l’atomo per usi civili. Anche lo scorso gennaio il 49% degli intervistati s’era espresso per un ritorno al nucleare contro il 41% di contrari. Soltanto dieci mesi dopo la percentuale dei favorevoli è schizzata al 60,3% contro i 30,5% di riluttanti. E l’autocritica alla scelta fatta nel 1987, quando con un referendum si decise di abbandonare l’atomo e quindi smantellare le centrali, è più che mai netta. I cittadini hanno cambiato idea e incenerito una convinzione frutto dell’impatto emotivo che ebbe il disastro di Chernobyl nell’86. La maggioranza degli italiani (47,9%) ora pensa che quella fu una decisione sbagliata mentre meno di quattro su dieci rimangono fermi ai convincimenti di allora. A persuadere gli scettici dell’atomica è sempre stato il terrore di possibili incidenti. Da decenni, tuttavia, abbiamo 13 centrali nucleari alle porte di casa: si trovano a meno di 200 km dal confine quelle di Phenix, Tricast, Cruas, Saint-Alban, Bugey in Francia; Muenleberg, Goesgen, Beznau e Leibstadt in Svizzera; Grundemmingen e Isar in Germania; Krsko in Slovenia. Ovvio che un’eventuale catastrofe in uno di questi impianti avrebbe ripercussioni oltrefrontiera. Ne consegue che per quasi la metà degli italiani (49,7%) «tanto vale avere le centrali in Italia». Non è d’accordo il 42,9% secondo cui «comunque è meglio tenerle fuori dai confini». Ad abbattere il pregiudizio sull’atomo è senza dubbio la nostra condizione subalterna in materia di energia. Da sempre poco autonomi, per la stragrande maggioranza degli italiani (ben l’85,2%) siamo «troppo dipendenti da Paesi stranieri per il nostro fabbisogno nazionale». E le ripercussioni economiche sono sotto gli occhi di tutti se ben l’88,5% dichiara che «il fatto che l’energia costi così tanto, in Italia, penalizza il nostro sistema industriale».
Le perplessità su una possibile svolta in materia, con la conseguente riapertura delle nostre centrali, riguardano problemi tecnici ma non solo. La dismissione delle scorie nucleari resta la preoccupazione maggiore (26,2 per cento). A seguire i dubbi sul modus operandi: per il 23 per cento degli intervistati «ci sarebbero troppe mangerie e ruberie da parte della politica italiana». Meno elevata la percentuale di chi teme «un incidente con relativa fuga radioattiva». Interessante analizzare i dati disaggregati. Anche se la sinistra è sempre stata allergica al nucleare, proprio dai tifosi di Rifondazione comunista arrivano alcuni segnali di rottura. Vacilla la convinzione che l’opzione del 1987 fosse giusta (scelta errata per il 54,7%; corretta per il 45,3%).
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