Caro Granzotto, temo di essermi cimentato in una lotta impari: ho provato reiteratamente a cancellarmi da Facebook e credevo di esserci riuscito dopo aver risposto a questionari inquisitivi sul motivo della mia richiesta di cancellazione. Ma ecco che mi arriva un messaggio con «Bentornato in Facebook»: stavo quasi per arrendermi alle demenziali richieste di amicizia di perfetti sconosciuti ma poi ho deciso: persevero e lotterò strenuamente e se avrò successo glielo farò sapere cosicché potrà consigliare i suoi affezionati lettori. Mi faccia gli auguri, la prego.
e-mail
Glieli faccio, caro Lamagna, con tutto il cuore. I social network sono universi a me estranei (mi è lì lì per essermi estraneo il telefono, figurarsi), ma ne seguo con attenzione le vicende e la mitizzazione, se non proprio la divinizzazione. Nel primo caso con linteresse che si deve a ogni fenomeno sociale, nel secondo per rallegrarmi lo spirito: per farmi quattro risate, insomma. Non ignoro, quindi, che da Facebook ha preso il via la grande fuga di utenti delusi o infastiditi da quel pettegolaio universale. E che fuggirne è impresa quasi impossibile, come del resto lei, caro Lamagna, mi conferma. Digitando su un motore di ricerca «Facebook uscirne» si ottengono 242 mila risultati. Una mole gigantesca di consigli, istruzioni, dritte, sotterfugi, direttive e formule per affrancarsi da quella che pare proprio essere una schiavitù. Ebbene, limpressione che se ne ricava è che quanti si fecero venire lùzzolo di «stare» su Facebook per smania di socializzare con luniverso mondo abbiano inconsapevolmente firmato un patto col diavolo: milioni (500 milioni, a quanto pare) di Faust da un lato e un solo Mefistofele dallaltro: il furbo, quellincommensurabile paravento di Mark Zuckerberg, linventore del giochino. Che se la ride.
Non so se lei, caro Lamagna, pur perseverando nella lotta ce la faccia a fuggire dalle grinfie di Facebook e delle sue viscere che a quanto leggo conservano ogni dato e ogni virgola che compare sul network socializzante. Come dicevo, glielo auguro anche perché mettendomi nei suoi panni, la vicenda mi fa tornare alla mente il racconto di Evelyn Waugh Luomo che amava Dickens. Lo conosce? Se no saffretti a leggerlo. Tutto comincia molto bene: Tony Last, malconcio e disperso in una foresta brasiliana è salvato da morte certa da una tribù indigena il cui capo è un bianco, Mr. Todd. Quando Last si fu ripreso, in attesa di predisporne il ritorno nella civiltà Todd, analfabeta, lo prega di leggergli qualche pagina di Dickens, suo autore prediletto. Le qualche pagine diventano un libro, il libro lopera completa di Dickens. Terminata la quale, con modi molti suadenti Todd invita lospite a ricominciare da capo. Per farla breve, finirà che nonostante il sopraggiungere dei soccorritori, Last si ritroverà condannato a trascorrere il resto della vita in quel villaggio fuori dal mondo, senzaltra distrazione che leggere e rileggere Dickens a mister Todd. La storia - e il talento di quel grande narratore che fu Evelyn Waugh - ti mette addosso una inquietudine che tocca langoscia perché non cè coercizione, perché la libertà, il ritorno a casa, sembra essere a portata di mano, sempre programmata per lindomani. Eppure sopravvengono banali, talvolta nemmeno identificabili contrattempi che ne procrastinano continuamente la partenza. Rimanere inchiodati a Facebook non è come rimanerlo a mister Todd, ci mancherebbe altro.
Paolo Granzotto
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.