Epitaffio choc del vedovo: "Non seppellitemi con mia moglie"

A Padova un marito accusa la moglie sulla lapide: "Non perdono Flavia, le sue ceneri lontane da me". Sgarbo imperdonabile o estremo gesto di rivincita?

Epitaffio choc del vedovo:  
"Non seppellitemi con mia moglie"

Non ci sono più le mezze stagioni e non ci sono neppure più i riti di una volta. Certe cose erano da pesce d’aprile e certe altre da 2 Novembre. Adesso non si distingue più niente. Come può succedere che si geli ad agosto e spuntino le margherite a dicembre, così la mestizia di queste ore può improvvisamente svanire sotto i colpi di strambe celebrazioni ed eccentriche provocazioni.
Già da tempo la patetica importazione di Halloween ha spostato un po’ di carnevale a novembre, ma quello che s’inventa uno stravagante 83enne di Tombolo, provincia di Padova, rende ancora più surreale il clima di questa antica data della memoria. Come racconta il Mattino di Padova, questo signore molto noto in paese, considerato personaggio colto e comunque piuttosto estroverso, coglie l’occasione della ricorrenza funebre per portarsi avanti con la propria lapide. Già questo è un gesto effettivamente poco rituale. Però ci sta: ormai c’è chi lascia scritto il copione esatto del proprio funerale, luoghi tempi invitati, non stupisce che uno spirito creativo decida di personalizzare in anticipo la propria pietra tombale.
Eppure, quando il distinto compaesano si presenta al cimitero per deporre il marmo inciso, la gente fatica a credere. C’è chi ride e c’è chi piange. Proprio lì, dove già riposano le ceneri della moglie Flavia, morta due anni fa, il vedovo colloca la nuova lapide, a futura memoria, con un epitaffio che risuona sulla giornata dei defunti come un perentorio decreto di sfratto: «Vita sessuale sofferta, non perdono Flavia. Le sue ceneri non qui». A corredo, la foto del futuro defunto, la data di nascita e persino un pro-memoria per quella di morte: «Attendo. O decido io».

Siamo chiaramente di fronte ad un’interpretazione letterale del sacro giuramento: finché morte non vi separi. Quel giorno, il vedovo inconsolabile pretende siano rispettati i patti: ciascuno per la propria strada. Ciò che la morte separa, nessuno riunisca. Flavia faccia il piacere di sloggiare dalla tomba di famiglia. La sua colpa è svelata: «Vita sessuale sofferta». Dopo avergli avvelenato le notti dormendogli vicina e lontanissima, lo lasci riposare in pace almeno adesso, standosene a distanza di sicurezza.
A Tombolo non sanno che dire e che pensare. Si può arrivare a tanto? Certo la terza e la quarta età si portano dietro molti effetti collaterali. A 83 anni, quanti ne ha il vedovo rancoroso, una creatura può perdere un po’ di equilibrio e ritrovarsi a vagare nel mondo strampalato delle stravaganze senili, oppure - come si dice - può regredire inconsciamente fino all’età bambina, lasciandosi indietro pudori adulti e freni inibitori, riscoprendosi a fare e a dire la prima cosa che passa per la zucca. In ogni caso, questo 2 Novembre padovano dev’essere eletto come il più carogna, anticonformista e politicamente scorretto dell’intero panorama.

Questa è la data che rende tutti migliori, i vivi e i morti, i vivi perché si ricordano dei morti, i morti perché semplicemente sono morti. In queste ore particolari si registrano prodigi maestosi: chi durante l’anno addirittura dimentica la strada per il camposanto, misteriosamente viene assalito da afflato affettivo e si precipita sulla tomba dei cari, deponendo persino fiori (quelli, carissimi). Almeno un giorno all’anno, ci diciamo cercando indulgenza per noi stessi. E pazienza se i nostri defunti veramente cari non hanno il minimo bisogno di questo pellegrinaggio, perché già stanno stabilmente e teneramente dentro di noi, il giorno e la notte, come una presenza che non s’è mai assentata. Il rito è il rito. Il 2 Novembre indossiamo il vestito buono, ci mettiamo tutti quanti in fila a ciglio umido, i cimiteri si trasformano per qualche ora in gigantesche aiuole decorate, qualcuno prega, altri fanno ameni incontri e piacevole salotto davanti alla tomba, così fino al tramonto, quando il guardiano fischia la fine e all’indomani tra i defunti può tornare il silenzio, come noi chiamiamo la loro solitudine.

La liturgia è questa, ma l’offesissimo marito di Flavia non ci sta. Pecca di rancore, non di ipocrisia. Sono passati solo due anni, ma anche se ne passassero altri cento sarebbe lo stesso: se lo porterà nell’eternità, il penoso ricordo di quella «vita sessuale sofferta». Signora Flavia, ovunque lei sia: quali tormenti, quante frustrazioni, quali privazioni ha inflitto al suo uomo, per scatenare nell’ultimissima età un simile sentimento di vendetta? Quanti mal di testa le sono capitati, nelle lunghe sere di una così lunga vita in due?
La vendetta è un piatto che si serve freddo. Niente è più freddo di una lapide marmorea. Quando anche il vedovo sarà chiamato a timbrare l’ultimo cartellino, forse finalmente la coppia scoppiata ritroverà un minimo di accordo. I doveri coniugali, che nella giovane età la signora ha risolto a modo suo, saranno perpetuati stavolta secondo il volere dello sposo: letti separati, perché cambiare proprio adesso... «Non perdono Flavia. Le sue ceneri non qui»: così sta scritto nelle penultime volontà. Certo è un finale cattivissimo, da 2 Novembre controcorrente: nemmeno la morte, che solitamente slega tutti i nodi e appiana tutti gli spigoli, in questo caso riesce a riavvicinare chi è rimasto tanto tempo così distante.
Al momento, si segnala l’imbarazzo del sindaco: non c’è autorizzazione, toglieremo la lapide. Ma il personaggio ormai è già un mito.

Molti uomini lo dipingono come indomito e coraggioso, eroe e mito di tutti i mariti afflitti. Almeno su questo però c’è da discutere. Per mandargliele a dire, ha aspettato una lapide. I veri eroi sono quelli che le affrontano vive.

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